Pubblichiamo per esteso la relazione che il Ministro della Giustizia Marta Cartabia ha reso in Parlamento. Dal testo si evince il palese tentativo di realizzare profonde innovazioni di natura metodologica e comportamentale in tutti gli ambiti del sistema giudiziario italiano, operando nel pieno rispetto dei principi ispiratori della Costituzione.

Marta Cartabia

Linee programmatiche sulla giustizia

1. I dati del contesto. 2. Il metodo 3. L’efficienza della giustizia e gli interventi sul piano organizzativo 4. La giustizia civile 5. La giustizia tributaria 6. La giustizia penale 7. Il Consiglio superiore della magistratura e l’ordinamento giudiziario 8. Conclusione

  1. 1 I dati del contesto

Le linee programmatiche di questo governo debbono muovere da alcuni dati di contesto che ne condizionano in modo significativo i margini di azione. Ne voglio sottolineare principalmente tre.

Innanzitutto, il fattore Europa: il Piano Next generation EU offre al nostro paese grandi possibilità e grandi risorse che richiedono la messa a punto di progetti e di riforme coerenti con gli obiettivi del piano. Abbiamo poche settimane per concludere questa pianificazione che detta la linea del nostro impegno immediato.

In secondo luogo, il fattore pandemia: da un anno a questa parte il governo sta lavorando sotto la pressione di continue urgenze ed emergenze che esigono imperiosamente priorità. Per continuare a svolgere l’attività ordinaria è richiesto ogni giorno uno sforzo straordinario di impegno e di immaginazione. Lo sa bene chi opera nei palazzi di giustizia: per continuare a celebrare i processi è stato richiesto uno sforzo innovativo ingente. Mi sia consentito di cogliere questa occasione per ringraziare sentitamente magistrati, avvocati, personale amministrativo che hanno fatto funzionare la macchina della giustizia in tutto quest’anno, con spirito di adattamento e senza sottrarsi a rischi non trascurabili. Simile sforzo riorganizzativo si è reso necessario e si sta rendendo necessario per altre attività comuni: i concorsi di avvocati, magistrati e personale del mondo giustizia, le votazioni degli ordini professionali, le attività in carcere, per citare solo alcune delle emergenze che si sono rese più evidenti di recente.

In terzo luogo, il dibattito pregresso-. molti temi sulla giustizia sono stati posti dai governi precedenti; molti dibattiti sono stati avviati; molti e molto divergenti i punti di vista tra le forze politiche, anche all’interno del governo; molte le risposte che questi dibattiti attendono.

Per questo, sento il dovere di affermare con chiarezza, a tutte le forze politiche presenti in Parlamento e a tutti i cittadini che qui sono rappresentati, che sarebbe sleale impegnarsi, nel contesto attuale, delineare programmi inattuabili, che alimentino invano le già alte aspettative che animano il dibattito pubblico, ben sapendo di non poterle realizzare. Cercheremo di affrontare alcuni problemi, i problemi più urgenti e improcrastinabili, auspicando – senza presunzione e senza hybris, e nella misura in cui ci sarà condivisione e supporto del Parlamento – di poter contribuire a rispondere almeno ad alcune delle domande di giustizia che ardono in vari ambiti del nostro paese.

  1. 2 II metodo

Da questa osservazione dei dati della realtà discende il metodo che intendo proporre e di cui ho avuto modo di discutere informalmente con i capigruppo della maggioranza qualche giorno fa.

In Parlamento un grande lavoro istruttorio è stato già fatto in ordine a molteplici tematiche, per lo più attraverso l’esame di disegni di legge delega, che per alcuni dei testi si trova già ad uno stadio piuttosto avanzato. Ritengo che il primo compito sia quello di verificare il lascito del precedente governo ed esaminare e valutare quanto dell’esistente meriti di essere salvato e, all’occorrenza, modificato e implementato. Il lavoro svolto non va vanificato, ma naturalmente deve essere rimodulato e arricchito anche alla luce del carattere così ampio di questa maggioranza di governo, senza peraltro trascurare le proposte dell’opposizione, con la quale ancora non ho avuto modo di interloquire direttamente.

Perciò, nelle prossime settimane proporremo in questa sede e nell’omologa Commissione dell’altro ramo del Parlamento, emendamenti ai testi già incardinati, che saranno frutto, da un lato, del lavoro di alcuni gruppi di esperti che proprio in questi giorni sto costituendo presso il Ministero e, dall’altro, del serrato confronto con le forze politiche di maggioranza sulle proposte da questi gruppi elaborati.

Su questo piano metodologico permettetemi un’ultima notazione: il Parlamento – come luogo di sintesi delle varie visioni politiche e culturali – deve essere, deve tornare ad essere, centrale in ogni processo di riforma. La mia formazione e la mia storia professionale mi rendono particolarmente sensibile ad una corretta impostazione dei rapporti tra Governo e Parlamento, troppo spesso piegata alle ragioni dell’urgenza e alle difficoltà politiche. Da parte mia, vi assicuro la massima attenzione al rispetto dei principi costituzionali nei rapporti tra istituzione parlamentare e governo. Naturalmente, ciò richiede un eguale impegno da parte delle Camere, che debbono essere luogo di confronto autentico schietto e tempestivo, volto alla ricerca di un terreno di azione comune per la costruzione di posizioni condivise che guardano al bene comune, lasciando da parte l’affermazione fine a se stessa di posizioni anche giuste, ma irrealizzabili nelle condizioni date.

Da questo punto di vista, la scelta del metodo della delega legislativa mi trova estremamente favorevole, perché coinvolge il Parlamento sin dalla elaborazione degli interventi normativi: anzitutto nella definizione del perimetro delle riforme (l’oggetto) e dei suoi orientamenti di fondo (principi e criteri direttivi), assicurando peraltro un continuo confronto tra governo e parlamento anche in fase di attuazione dei decreti legislativi delegati. Infine, ma non meno rilevante in un contesto come quello attuale, la legge delega permette di disegnare un quadro d’insieme, all’interno del quale realizzare un’attuazione graduale delle riforme possibili, attraverso lo sviluppo dei vari decreti legislativi, che hanno ad oggetto i vari segmenti prefigurati nel quadro generale, secondo un percorso realistico, ma allo stesso tempo capace di assicurare una certa coerenza d’insieme.

  1. 3 L’efficienza della giustizia e le misure organizzative

Veniamo ora ai contenuti.

La crescente domanda di giustizia da parte dei cittadini, oltre che le raccomandazioni rivolte dalle istituzioni europee al nostro paese, anche nell’ambito della predisposizione dei progetti e delle riforme del Recovery Plan e del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, evidenziano la necessità di approntare riforme realmente in grado di operare una riduzione dei tempi della giustizia, che oggi continuano a registraremedie del tutto inadeguate. Un obiettivo primario degli interventi in materia di giustizia è, dunque, quello di riportare il processo italiano a un modello di efficienza e competitività, così da consentire anche una rinnovata fiducia dei cittadini nell’amministrazione della giustizia e altresì una ripresa degli investimenti,tenuto conto della strettissima connessione intercorrente tra relazioni commerciali, produttività economica e funzionamento della giustizia.

A questo riguardo, tengo particolarmente a sottolineare che l’idea di efficienza dell’amministrazione della giustizia non rappresenta soltanto un obiettivo pragmatico, riflesso della sopra accennata stretta compenetrazione intercorrente tra giustizia ed economia, ma si coniuga altresì con la stessa componente valoriale del processo, e quindi con gli ideali intrinseci alla giustizia tesi alla realizzazione di una tutela giurisdizionale effettiva per tutti.

Rendere la giustizia efficiente, riducendo i tempi di definizione delle controversie è un obiettivo imposto, anzitutto, dal principio costituzionale del giusto processo e dall’impegno incombente sul legislatore di assicurare la ragionevole durata di ogni processo (entrambi garantiti dall’art. Ill Cost.).

In una parola, la Costituzione richiede che il processo sia giusto e breve.

Obiettivi altissimi, quelli indicati dalla Costituzione, che devono ispirare l’azione di tutte le istituzioni, pur nella consapevolezza che la loro piena realizzazione è e sarà una meta da conquistare e riconquistare continuamente.

Mi preme sottolineare che occorre evitare di incorrere nell’equivoco per il quale l’obiettivo di una giustizia più effettiva ed efficiente, oltre che più giusta, possa essere raggiunto solo attraverso interventi riformatori sul rito del processo o dei processi. A mio parere occorre muoversi contestualmente seguendo tre direttrici tra loro inscindibili: sul piano organizzativo, nella dimensione extraprocessuale e in quella endoprocessuale, che sono complementari fra loro.

A tale fine, appare prioritaria fazione riorganizzativa della macchina giudiziaria e amministrativa – che rientra nei compiti che la Costituzione, all’art. 110, affida esplicitamente al Ministro della giustizia – e che i progetti presentati nell’ambito del Recovery Plan consentono dideclinare sotto diversi aspetti: senza ripercorrere analiticamente in questa sede i diversi progetti ricompresi nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza segnalo, sinteticamente, i tre principali ambiti di intervento da essi previsti: il primo, riguarda la valorizzazione del personale e delle risorse umane; il secondo, mira al potenziamento delle infrastrutture digitali con la revisione e diffusione dei sistemi telematici di gestione delle attività processuali e di trasmissione di atti e provvedimenti; il terzo, destina un significativo ammontare di risorse all’edilizia giudiziaria e all’architettura penitenziaria.

Grazie anche alle risorse provenienti dall’unione europea, reputo che si debba lavorare sul piano organizzativo in una triplice direzione:

  • – Portare a piena attuazione l’ufficio del processo
  • – Individuare e mettere in rete le best practices organizzative esistenti
  • – Incrementare una formazione specifica per le figure apicali degli uffici giudiziari

La principale innovazione, già avviata in fase sperimentale sarà la diffusione deirUfficio per il processo,un modello organizzativo che rafforza la capacità decisionale del giudice inserendo nello staff gli assistenti – sul modello dei clerks dei paesi anglosassoni – incaricati della classificazione dei casi, della ricerca dei precedenti giurisprudenziali e dei contributi dottrinali pertinenti, della predisposizione di bozze di provvedimenti. Si tratta di potenziare le strutture ’dell’ufficio per il processo, già costituite ai sensi dell’art. 16- octies d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla 1. 17 dicembre 2012, n. 221. Attraverso la piena operatività di tali strutture il magistrato manterrebbe la fisiologica “solitudine” del momento “decisionale”, ma verrebbe ad essere adeguatamente supportato per tutto quanto riguarda la parte “conoscitiva” e “organizzativa” preliminare al giudicare, con evidenti positivi riflessi sulla durata del processo stesso e sulla sua efficienza e qualità.

Nella stessa ottica di sollevare il giudice da incombenze non strettamente attinenti alla funzione del giudicare, occorrerà procedere a rafforzare la capacità amministrativa del sistema, integrando ilpersonale delle cancellerie, ma anche sopperendo alla carenza di professionalità tecniche diverse da quelle di natura giuridica, essenziali per attuare e monitorare i risultati dell’innovazione organizzativa.

Quanto al secondo aspetto, non è difficile osservare che nel nostro sistema giustizia non mancano esperienze virtuose, che spesso sono frutto di capacità personali di singoli dirigenti di uffici giudiziari, ma che faticano a essere elevate a sistema e messe in rete. Occorre che queste esperienze virtuose emergano, anche attraverso adeguate analisi statistiche giudiziarie, nelle quali l’Italia è stata in passato all’avanguardia, che vanno potenziate e rese più veloci, perché consentono quella misurazione dell’attività senza della quale non può esserci un migliore funzionamento della giustizia. A questo scopo occorrerà orientare la funzione ispettiva del Ministero della giustizia, anche in funzione collaborativa con i singoli uffici giudiziari, diffondendo la conoscenza e l’implementazione delle cosiddette best practices meritevoli di essere disseminate attraverso circolari e iniziative di formazione. Scambi orizzontali tra i vertici degli uffici giudiziari, supportati dal Ministero attraverso iniziative di sostegno alle esigenze dell’organizzazione dovranno, insomma, affiancarsi alla più nota funzione investigativa a fini disciplinari dell’ispettorato generale.

Il terzo aspetto riguarda la formazione dei magistrati candidati o già investiti di incarichi direttivi e semidirettivi. Essa dovrà essere meglio strutturata nell’ambito delle attività della Scuola della magistratura con corsi obbligatori di durata maggiore dell’attuale, focalizzati sui profili organizzativi e gestionali dell’amministrazione della giustizia, estesi anche ai dirigenti già in servizio, che coinvolgano anche docenti e testimoni esterni al circuito giudiziario e che si concludano con una valutazione seria del profilo attitudinale dei partecipanti. La “comprovata capacità gestionale”, già richiamata, più o meno implicitamente, in alcune norme vigenti e in progetti di riforma all’attenzione del Parlamento, dovrà espressamente figurare tra i requisiti della nomina per un incarico direttivo.

Venendo al piano delle riforme normative, vorrei ora svolgere qualche considerazione in merito ai capitoli della giustizia civile, della giustiziatributaria, della giustizia penale e del Consiglio superiore della magistratura, tutti interessati da disegni di legge già presenti in Parlamento.

  1. 4 La giustizia civile

4.1 Gli strumenti di mediazione dei conflitti.

Uno degli ambiti interessati dai disegni di legge (AS 1662) già incardinati in Parlamento riguarda la mediazione, la negoziazione, la conciliazione e in generale i cosiddetti strumenti alternativi per la risoluzione delle controversie, ADR, alternative dispute resolution. Reputo che questi strumenti di risoluzione dei conflitti siano dotati di un grande potenziale, in particolare nel nostro ordinamento nelle specifiche condizioni date.

È ormai un dato di esperienza consolidato, anche in una prospettiva comparata con altri sistemi giuridici, che le forme alternative di risoluzione dei conflitti producono effetti virtuosi di alleggerimento dell’amministrazione della giustizia. Tuttavia, il loro significato supera questa intuitiva potenzialità. Tutt’altro che alternative, queste forme di risoluzione delle controversie giuridiche rivestono un ruolo che è piuttosto di complementarità rispetto alla giurisdizione, di coesistenza, come già indicava uno dei grandi maestri del diritto processuale e costituzionale comparato, Mauro Cappelletti.

In particolare, accanto alle più sperimentate forme arbitrali, vorrei soffermare l’attenzione sulla mediazione, uno strumento verso il quale, dopo gli iniziali scetticismi, si riscontra oggi una generale apertura da parte delle diverse categorie, pur nella necessità di significative messe a punto legislative.

A questo proposito, segnalo tre specifici aspetti che richiedono un intervento normativo: il primo riguarda la definizione degli ambiti di applicazione (per estenderne la portata, specie nei settori dove statisticamente si sono verificate maggiori possibilità di successo e dove la mediazione porterebbe un indiscutibile valore aggiunto, come nelle controversie in materia di famiglia e filiazione); il secondo riguarda la previsione di incentivi (processuali, economici fiscali) e il terzo riguarda il rapporto tra mediazione e giudizio, valorizzandone, ad esempio, unapiù compiuta interrelazione grazie a uno sviluppo della mediazione delegatadal giudice (o endoprocessuale).

È tempo di ripensare il rapporto tra processo davanti al giudice e strumenti di mediazione, offrendo anche al giudice la possibilità di incoraggiare le parti verso soluzioni conciliative specialmente attraverso la previsione di misure premiali: per i giudici, ad esempio, attraverso la possibilità di rilevare statisticamente queste attività, sovente faticose, laboriose, ma non contemplate dalle statistiche e quindi non valutate per le progressioni di professionalità; per le parti, con l’introduzione di discipline di favore per le spese giudiziali.

Questi strumenti, se ben calibrati, tracciano percorsi della giustizia che tengono conto delle relazioni sociali coinvolte, risanano lacerazioni e stemperano le tensioni sociali.

Peraltro, su un piano più pragmatico, occorre osservare che le soluzioni negoziali e di mediazione si renderanno tanto più necessarie nel contesto attuale, in cui gli effetti economici della pandemia stanno determinando forti squilibri nei rapporti giuridici esistenti. La giustizia preventiva e consensuale rappresenta una strada necessaria per il contenimento di una possibile esplosione del contenzioso presso gli uffici giudiziari quando cesseranno gli effetti dei provvedimenti che bloccano gli sfratti, le esecuzioni, le procedure concorsuali, i licenziamenti, il contenzioso bancario, ad esempio. Occorre prepararsi per tempo.

Alcune esperienze di diritto comparato, in particolare in Spagna all’epoca della crisi finanziaria del 2008, mostrano la fecondità di questa strada e indicano la necessità di predisporre per tempo strumenti adeguati a percorrere strade di giustizia consensuale. La rinegoziazione dei contratti in condizioni di eccessiva onerosità sopravvenuta, le controversie per il pagamento di somme di denaro, i rapporti in crisi di natura societaria e commerciale, le relazioni critiche fra la banca e i clienti, le pretese verso la pubblica amministrazione da parte di cittadini e imprese in attesa di risposta, sono solo alcune tipologie di situazioni che, in mancanza di un intervento urgente, dedicato e congruo, renderanno la giustizia del nostro paese gravemente insostenibile. Come espressamente indicato anche nella Relazione del Presidente della Cortedi cassazione 2021, “è indispensabile, in ambito civile, un intervento del legislatore per prevenire la sopravvenienza di un numero patologico di ricorsi, mediante forme di risposta differenziate rispetto a quelle tradizionali in grado di giungere alla definizione del conflitto senza percorrere necessariamente i tre gradi di giurisdizione. In tale prospettiva, in ambito civile deve essere valorizzata, nelle sue molteplici potenzialità, la mediazione”.

Il tempo che stiamo attraversando offre una occasione importante per coltivare e diffondere una nuova cultura giuridica, aperta a una pluralità di vie della giustizia, da svilupparsi anche attraverso adeguati strumenti di formazione rivolti oltre che al mediatore, anche al difensore e al giudice, e che debbono trovare spazio sin dai primi anni degli studi universitari.

4.2 Interventi sul processo.

Un processo civile lento e malato difficilmente potrà affiancarsi a sistemi alternativi validi ed efficaci. Quale debitore insolvente potrebbe trovare maggior vantaggio da una procedura di mediazione, quando il giudizio civile nel quale è stato convenuto può garantirgli anni di inadempimento?

Perciò, una seconda fondamentale area di intervento è rappresentata da quella processuale in senso stretto. Senza coltivare illusorie ambizioni di riforme di sistema non praticabili nelle condizioni date, la riforma dovrà puntare su correzioni selettive ad alcune disfunzioni e sull’estensione o sull’adattamento di modelli già sperimentati e, se possibile, già “misurati”, anche dalle agenzie internazionali di monitoraggio (per es. CEPEJ), nella loro capacità di propiziare decisioni più tempestive.

In questo ambito, sicuramente verranno valorizzati alcuni aspetti dei disegni di legge presenti in Parlamento sui quali si registra una sempre più ampia convergenza, quali ad esempio il principio di sinteticità degli atti, mediante una sua chiara affermazione e l’introduzione di specifiche disposizioni volte a renderlo effettivo.Tralascio per ovvie ragioni molti aspetti specifici, per sottolineare che il nodo di fondo che la Commissione di studio per la Giustizia civile dovrà sciogliere è la scelta tra il mantenimento dei modelli di rito attuali (ordinario e sommario di cognizione ex art. 702-bis c.c., procedimento avanti al giudice di pace), con adeguati interventi di supporto miranti a ridurre i tempi e assicurare che la causa possa pervenire alla prima udienza con il thema decidendum già definitivamente cristallizzato, ovvero all’introduzione di un nuovo rito, semplificato e sostitutivo di quello ordinario attualmente in vigore (questa è la linea immaginata dal d.d.l. n. 1662/2020»). In tal caso, occorrerà ponderare attentamente l’eventuale abrogazione del rito sommario di cognizione, in quanto il rito sommario rappresenta un modello non soltanto funzionante, ma particolarmente apprezzato, come è risultato dalle numerose audizioni già disposte e dalle indicazioni provenienti dalle istituzioni europee. Inoltre, occorrerà tenere presente che ogni riscrittura del rito comporta necessariamente, almeno nelle prime fasi, un ulteriore rallentamento della macchina giudiziaria.

Infine, ritengo che meriti particolare attenzione anche l’area della giustizia di famiglia e minorile, nella quale la normativa vigente registra una serie di perduranti lacune e profili problematici di non poco momento, tra i più evidenti dei quali possono individuarsi quelli legati alla frammentazione delle tutele e all’assenza di una disciplina organica per il processo minorile.

Peraltro, occorrerà valutare il problema dei filtri delle impugnazioni più volte sottolineato dalle istituzione europee, in una prospettiva che analizzi le ragioni d’inefficacia di quelli vigenti con riferimento all’appello civile e che individui possibili linee di intervento per meglio valorizzare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione, risolvendo, per questa via, il rilevantissimo divario quantitativo tra il numero di casi trattati in sede di legittimità nel nostro Paese e quelli trattati da altre Corti supreme europee e le sue ricadute in termini di stabilità del formante giurisprudenziale.

  1. 5 La giustizia tributaria

Uno dei settori dove si verifica una forte sofferenza dal punto di vista dell’arretrato e della durata dei processi è quello tributario. La giustizia tributaria rientra nelle competenze del Ministero dell’economia e delle finanze, ma per ciò che riguarda il ricorso in Cassazione anche il Ministro della giustizia è coinvolto a pieno titolo. Ed è lì che si ravvisano i principali fattori critici.

Sotto il profilo quantitativo, il contenzioso tributario è una componente molto importante dell’arretrato che si è accumulato dinanzi alla Corte di cassazione. Secondo stime recenti, nonostante gli sforzi profusi sia dalla Sezione specializzata, sia dal personale ausiliario, alla fine del 2020 pendevano più di 50.000 ricorsi, pari circa al 50% delle pendenze in Cassazione, pur se nel frattempo i ricorsi davanti alle commissioni tributarie provinciali si sono sostanzialmente dimezzate (dal 2015 al 2019 sono passate da 386.406 a 197.501).

Sotto il profilo qualitativo, le decisioni adottate dalla Corte di cassazione comportano molto spesso l’annullamento di quanto è stato deciso in appello dalle Commissioni tributarie regionali: si è passati dal 52% nel 2016 al 47% nel 2020, con variazioni non particolarmente significative all’interno dell’ultimo lustro.

Sotto il profilo temporale, vi sono indizi che attestano tempi di giacenza dei ricorsi in Cassazione, in alcuni casi, superiori a tre anni, i quali naturalmente si aggiungono alla durata dei giudizi svolti nei due precedenti gradi di giudizio.

Le constatazioni che precedono inducono a ritenere che, per quanto sia stato fatto non poco per far pervenire meno ricorsi alla Cassazione e per farli decidere più speditamente, oltre che in modo adeguato, vi sia ancora molto da fare. A questo proposito, unitamente al Ministero dell’economia e delle finanze stiamo costituendo un gruppo di lavoro per esplorare possibili linee di riforma della giustizia tributaria che intervengano tanto sul piano legislativo – soprattutto per rafforzare i profili di specifica professionalità e indipendenza dei giudici tributari, come segnalato pochi giorni orsono anche dal Presidente Antonio Leone all’inaugurazione dell’anno giudiziario della giustizia tributaria – sia sul piano organizzativo, e in particolare per favorire un più consistente esercizio della funzione nomofilattica da parte della Suprema Corte, al fine di prevenire il moltiplicarsi dei ricorsi, delle impugnazioni e fincoerenza degli orientamenti.

  1. 6 La giustizia penale

I tempi di definizione dei giudizi penali, al pari se non più di quelli civili, sono oggetto delle preoccupazioni delle istituzioni europee le quali hanno a più riprese osservato che le statistiche giudiziarie evidenziano una durata del procedimento penale in Italia di molto superiore alla media europea (cfr. il Rapporto 2020 della Commissione europea per l’efficienza della giustizia – CEPEJ, istituita presso il Consiglio d’Europa). Del resto, anche un ampio e vivace dibattito interno si è sviluppato intorno ai tempi della giustizia penale, mostrando come una eccessiva durata del processo rechi pregiudizio, ad un tempo, sia alle garanzie delle persone coinvolte – indagato, imputato e vittima/persona offesa – sia all’interesse dell’ordinamento all’accertamento e alla persecuzione dei reati.

In questo contesto, nei primissimi giorni dell’insediamento di questo governo, a fronte della encomiabile disponibilità di alcuni gruppi ad accantonare gli emendamenti da loro presentati in materia di prescrizione per non esacerbare il dibattito, la Camera ha approvato un ordine del giorno che impegna il Governo “ad adottare le necessarie iniziative di modifica normativa e le opportune misure organizzative volte a migliorare l’efficacia e l’efficienza della giustizia penale, in modo da assicurare la capacità dello Stato di accertare fatti e responsabilità penali in tempi ragionevoli (art. Ill Cost.), assicurando al procedimento penale una durata media in linea con quella europea, nel pieno rispetto della Costituzione, dei principi del giusto processo, dei diritti fondamentali della persona e della funzione rieducativa della pena”.

Questo impegno deve essere onorato.

In questo ambito, dunque, occorre procedere con puntuali interventi di riforma volti ad offrire ulteriori, necessari contributi per razionalizzare e accelerare il procedimento penale, in tutte le sue fasi, nel rispetto delle fondamentali garanzie della difesa e della struttura dialettica del metodo di conoscenza giudiziaria, che impronta il nostro modello accusatorio.

Molto lavoro è già sitato svolto.

Il disegno di legge AC 2435 [recante “Delega al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le Corti di Appello”, approvato al Consiglio dei Ministri del 13 febbraio 2020, e ora] in corso di esame presso questa Commissione [Giustizia della Camera dei Deputati], è frutto di un’ampia istruttoria che si è avvalsa dei dati statistici forniti sia dai competenti uffici del Ministero della giustizia sia dell’ufficio di statistica della Corte suprema di cassazione; ha considerato le analisi comparative svolte a livello europeo ed internazionale e tiene conto di una intensa stagione di confronto con i diversi “attori” del processo penale: avvocatura, nelle sue varie articolazioni, magistratura, studiosi del processo. Alla Camera, ampie sono le audizioni svolte e i punti di vista espressi in fase istruttoria. Per questa ragione, come nel caso della giustizia civile, la Commissione di studio che abbiamo istituito al Ministero muoverà dal lavoro esistente, proponendo tutte le integrazioni e le modifiche che si renderanno necessarie per giungere ad un adeguato contemperamento tra le esigenze di celerità del processo, dell’efficienza dell’amministrazione della giustizia, e le irrinunciabili garanzie della persona.

Il disegno di legge in discussione, oltre alle soluzioni tese a favorire la maggiore diffusione dello strumento telematico per il deposito di atti e documenti, e quelle preordinate a migliorare il sistema delle notificazioni, delinea indirizzi riformatori della fase delle indagini e dell’udienza preliminare, volti ad assicurare scansioni temporali più certe e stringenti, con riferimento in particolare alla raccolta degli elementi di prova e alle conseguenti determinazioni concernenti l’azione penale.

Unitamente a questi aspetti, ritengo debba essere valorizzata anche l’attenzione che gli indirizzi di riforma riservano ai riti alternativi attualmente previsti dal nostro sistema processuale, in particolare nel senso dell’ampliamento della possibilità di accedervi. Il codice di rito del 1988 aveva molto scommesso sui riti alternativi per consentire il funzionamento del modello accusatorio. L’esperienza e le statistiche giudiziarie ci dicono da tempo che il ricorso ai riti alternativi è ancora insufficiente e richiede di essere valorizzato.

Quanto alla possibilità di garantire al dibattimento di I grado maggiore scorrevolezza, occorrerà qui riflettere e ponderare adeguatamente le varie opzioni in campo per individuare le misure, anche organizzative, più idonee a garantire che il dibattimento possa restare il luogo di elezione dell’esercizio, anche dialettico, del diritto di difesa, come sollecitato da più parti nelle audizioni.

In questo orizzonte, a mio avviso, debbono altresì essere collocati gli sforzi tesi ad assicurare una più compiuta attuazione della Direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali.

Un ulteriore spazio di riflessione dovrà essere riservato anche al giudizio di appello, individuato dalle riforme della prescrizione del reato, succedutesi in questi ultimi anni, come fase particolarmente critica per i tempi complessivi del procedimento penale: è, credo, obiettivo di tutti stabilire un definitivo e convincente punto di equilibrio tra l’esigenza di concepire secondo criteri ragionevolmente selettivi l’accesso al secondo grado di giudizio e l’interesse della parte all’impugnazione della decisione pronunciata dal giudice di prima istanza.

Resto peraltro convinta che una riforma del processo penale deve pure poggiare su meditati interventi di deflazione sostanziale, cui può giungersi, tra l’altro, intervenendo sui meccanismi di procedibilità, incrementando il rilievo delle condotte riparatone ed ampliando l’operatività di istituti che si sono rilevati nella prassi particolarmente effettivi, come la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato e la non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Penso che sia opportuna una seria riflessione sul sistema sanzionatorio penale che, assecondando una linea di pensiero che sempre più si sta facendo strada a livello internazionale, ci orienti verso il superamento dell’idea del carcere come unica effettiva risposta al reato. La “certezza della pena” non è la “certezza del carcere”, che pergli effetti desocializzanti che comporta deve essere invocato quale extrema ratio. Occorre valorizzare piuttosto le alternative al carcere, già quali pene principali. Un impegno che intendo assumere è di intraprendere ogni azione utile per restituire effettività alle pene pecuniarie, che in larga parte oggi, quando vengono inflitte, non sono eseguite. In prospettiva di riforma sarà opportuno dedicare una riflessione anche alle misure sospensive e di probation, nonché alle pene sostitutive delle pene detentive brevi, che pure scontano ampi margini di ineffettività, con l’eccezione del lavoro di pubblica utilità.

Non posso non osservare che il tempo è ormai maturo per sviluppare e mettere a sistema le esperienze di giustizia riparativa, già presenti nell’ordinamento in forma sperimentale che stanno mostrando esiti fecondi per la capacità di farsi carico delle conseguenze negative prodotte dal fatto di reato, nell’intento di promuovere la rigenerazione dei legami a partire dalle lacerazioni sociali e relazionali che l’illecito ha originato. Le più autorevoli fonti europee e internazionali ormai da tempo hanno stabilito principi di riferimento comuni e indicazioni concrete per sollecitare gli ordinamenti nazionali a elaborare paradigmi di giustizia riparativa che permettano alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se entrambi vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale.

Non mancano nel nostro ordinamento ampie, benché non sistematiche, forme di sperimentazione di successo e non mancano neppure proposte di testi normativi che si fanno carico di delineare il corretto rapporto di complementarità fra giustizia penale tradizionale e giustizia riparativa. In considerazione dell’importanza delle esperienze già maturate nel nostro ordinamento, occorrere intraprendere una attività di riforma volta a rendere i programmi di giustizia riparativa accessibili in ogni stato e grado del procedimento penale, sin dalla fase di cognizione.

Ancora, lo sguardo sulle esigenze della giustizia penale sarebbe incompleto se non tenesse conto anche della fase dell’esecuzione penale, che è oggetto di mie costanti preoccupazioni. È un convincimento in me profondamente radicato, oltre che avvalorato da dati statisticiconsolidati, che la qualità della vita dell’intera comunità penitenziaria, di chi vi opera, con professionalità e dedizione, e di chi vi si trova per scontare la pena, è un fattore direttamente proporzionale al contrasto e alla prevenzione del crimine.

Perseguire lo scopo rieducativo della pena non costituisce soltanto un dovere morale e costituzionale – come si legge inequivocabilmente nell’art. 27 della Costituzione – ma è anche il modo più effettivo ed efficace per prevenire la recidiva e, quindi, in ultima analisi, per irrobustire la sicurezza della vita sociale.

È in questo ampio e articolato quadro della giustizia penale che deve essere adeguatamente collocata anche la discussione sul “nodo” della prescrizione; una discussione che coinvolge interessi contrapposti, tutti meritevoli della più ampia considerazione: quelli facenti capo all’autore del reato, presunto innocente fino alla condanna definitiva, e quelli della vittima del reato stesso, oltre che dell’intera comunità civile, che attende dal processo penale l’accertamento dei fatti e delle eventuali responsabilità. Un processo dalla durata ragionevole di per sé, risolverebbe il “nodo” della prescrizione, relegandola a evento eccezionale. Visto in un più articolato intervento riformatore, il problema ne uscirebbe forse sdrammatizzato, affrancando l’istituto della prescrizione dal ruolo scomodo di principale rimedio ai problemi determinati dall’eccessiva durata del processo.

Anche in questo ambito occorrerà esaminare e ponderare le numerose alternative maturate nel dibattito scientifico, politico e comparato.

Al proposito, il testo dell’art. 159 c.p., all’esame del Parlamento, propone una distinzione tra la posizione dell’imputato assolto da quella del condannato nel giudizio di primo grado (l’effetto sospensivo, infatti, riguarderebbe solo quest’ultimo), prevedendo poi un recupero del “tempo sospeso”, ai fini del calcolo del corso della prescrizione, nel caso di annullamento della sentenza di condanna di I grado, a seguito di impugnazione.

D’altro canto, da tempo nella riflessione accademica si ragiona intorno ad altri strumenti, quali la possibilità di munire l’ordinamentodi un corredo di rimedi di tipo compensativo per le ipotesi in cui si registri una dilatazione eccessiva dei tempi processuali non ascrivibile a responsabilità dell’imputato. Si tratta di scelte cui sono già approdati alcuni ordinamenti europei (può citarsi l’esempio della Germania e della Spagna), caratterizzati da un assetto assimilabile a quello delineatosi nel nostro Paese e che non incontrano contrarietà in particolare nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo.

Ancora, sulla scorta di altre esperienze – nonché di progetti di riforma già discussi negli anni passati – sono state avanzate proposte dirette a distinguere il tempo necessario a prescrivere (oggi individuato come un arco temporale unico, corrente dalla commissione del reato alla formazione del giudicato) in due arcate temporali distinte. La prima, il tempo dell’oblio, presidiata dalla prescrizione sostanziale; la seconda, il tempo del processo, presidiata dalla prescrizione processuale.

Sarebbe prematuro da parte mia prendere posizione in questo momento a favore dellXina o dell’altra ipotesi. Il gruppo di lavoro che è stato istituito considererà con attenzione le diverse opzioni elaborate a tal fine sia nella letteratura sia in precedenti iniziative di riforma. E degli sviluppi di queste riflessioni sarà mia cura informarvi costantemente nel corso dei lavori.

Un’ultima parola, infine, per confermare l’impegno di questa Amministrazione in tutte le iniziative necessarie ad assistere e rafforzare le azioni di prevenzione e contrasto alle mafie e alle altre forme di criminalità grave e organizzata; iniziative che assumono particolare importanza nell’attuale situazione economica e sociale del Paese: occorre mettere in campo tutte le risorse necessarie perché il rilancio dell’economia nazionale non si trasformi mai nell’indebito arricchimento di pochi. In questo orizzonte va considerato l’impegno che stiamo dedicando, unitamente al CSM, al tempestivo perfezionamento dell’accordo sulla distribuzione territoriale e funzionale del significativo contingente di procuratori europei delegati (PED) che rappresenteranno innanzi ai giudici nazionali l’istituzione preposta alla tutela penale degli interessi finanziari dell’unione.

Sul versante dell’efficace contrasto alla corruzione, anch’esso oggetto di specifiche raccomandazioni della Commissione, l’assicurazione di tempi ragionevoli di accertamento processuale resta il profilo più critico. Tuttavia occorre prendere atto del percorso legislativo già svolto, che ha visto il nostro Paese dotarsi progressivamente di strumenti investigativi e norme incriminatrici perfettamente conformi agli standardrichiesti dalle convenzioni internazionali (Convenzione penale del Consiglio d’Europa del 1999; Convenzione ONU di Mèrida 2003; Convenzione OCSE 1997), oltre che di un insieme di strumenti di natura preventiva, e in particolare dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, che esercita una importante attività di prevenzione della corruzione nelle pubbliche amministrazioni e di vigilanza nei contratti pubblici.

Oggi sono soprattutto Ì ritardi nell’accertamento giudiziale definitivo ad incidere negativamente sulla percezione collettiva della corruzione, penalizzando peraltro il nostro Paese sullo scenario internazionale.

Per altro verso, occorre ora misurarsi con la qualità delle regole e con la “capacità amministrativa” delle nostre istituzioni, con la necessità di semplificare e razionalizzare le procedure (a partire da quelle relative ai contratti pubblici), di garantire trasparenza e assicurare la qualità dei controlli e la competenza professionale dei controllori. Occorre altresì fare i conti con le lacune, la frammentarietà e, talvolta, le contraddizioni che caratterizzano le regolazioni dell’attività di rappresentanza degli interessi particolari presso i decisori pubblici (il lobbying) e del conflitto di interessi: carenze che, oltre ad incidere sull’efficacia delle strategie di prevenzione, possono complicare l’applicazione di alcune fattispecie penali recentemente riformate (penso, ad esempio, al traffico di influenze illecite previsto dall’art. 346-bis cod. pen.), consegnando al giudice penale il compito di reprimere la deviazione patologica di certe attività, senza che prima sia stato definito il perimetro della loro fisiologica esplicazione.

  1. 7 II Consiglio Superiore della Magistratura e l’ordinamento giudiziario

Le note, non commendevoli, vicende che hanno riguardato la magistratura, specie negli ultimi mesi, rendono improcrastinabile anche un intervento di riforma di alcuni profili del Consiglio Superiore dellaMagistratura e dell’ordinamento giudiziario, anche per rispondere alle giuste attese dei cittadini verso un ordine giudiziario che recuperi prestigio e credibilità.

Anche in questo ambito i lavori sono già in corso e in questa Commissione [giustizia alla Camera] è stato avviato l’esame del disegno di legge AC 2681 [recante “Deleghe al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario e per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario militare, nonché disposizioni in materia ordinamentale, organizzativa e disciplinare, di eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati e di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura”, approvato dal Consiglio dei Ministri il 7 agosto 2020].

Il disegno di legge contiene un programma molto ampio di riforme.

In particolare, l’intervento muove, in primo luogo, dall’esigenza di superare i profili problematici emersi in relazione alle modalità di funzionamento del Consiglio superiore della magistratura. Allo scopo si prevede una profonda riforma del sistema elettorale dell’organo di autogoverno della magistratura, con l’obiettivo di ridurre il peso delle correnti nella scelta dei candidati e nella determinazione dei componenti dell’organo di autogoverno.

Inoltre, il disegno di legge interviene sul settore nel quale maggiormente si sono evidenziati i problemi di funzionamento del CSM, che è rappresentato dalla selezione dei vertici degli uffici.

Sono poi previsti numerosi interventi direttamente riguardanti l’ordinamento giudiziario e l’organizzazione degli uffici giudiziari.

Rispetto alle iniziative all’attenzione del Parlamento, accolgo in particolare l’esigenza di disciplinare la procedura di conferimento degli incarichi direttivi e semi-direttivi, secondo criteri di trasparenza ed efficienza, allo scopo di orientare le scelte alle preminenti esigenze della continuità e della qualità dell’azione organizzativa.

Cosi come mi pare condivisibile prevedere un periodo di permanenza minima (quadriennale) nell’esercizio delle funzioni direttive, corrispondente al tempo necessario per consentire al dirigente di acquisire consapevolezza profonda delle caratteristiche e criticità di funzionamento dell’ufficio, elaborare scelte linee di innovazioneorganizzativa, sperimentarne l’efficacia, approntare i necessari correttivi.

Quanto al tema della riforma elettorale del Consiglio superiore della magistratura, occorrerà una attenta e profonda riflessione per addivenire a valutazioni condivise. Peraltro, è mia ferma convinzione che non debba nutrirsi l’illusoria rappresentazione che un intervento sul sistema elettorale del Consiglio superiore della magistratura possa di per sé offrire una definitiva soluzione alle criticità che stanno interessando la magistratura italiana, le quali attingono invero a un sostrato comportamentale e culturale che nessuna legge da sola può essere in grado di sovvertire.

Rispetto all’attuale regime, il quale prevede tre collegi unici nazionali (uno per ciascuna categoria funzionale) e consentendo ad ogni elettore di esprimere un voto su singoli candidati (l. 44/2002), sono state nel tempo formulate diverse alternative.

L’ultimo disegno di legge, in ordine di tempo (che è, appunto, il ddl del precedente Governo), prevede, tra l’altro, l’innalzamento a 20 del numero dei membri togati eletti al CSM, la suddivisione del territorio in 17 collegi ordinari (cui si aggiungono 2 ulteriori collegi: uno per i magistrati appartenenti alle corti superiori e uno per i magistrati fuori ruolo, dell’ufficio del massimario e delle direzioni nazionali), un eventuale secondo turno e, inoltre, disposizioni per la parità di genere.

Ma vanno ricordate anche ulteriori alternative che saranno esaminate dal gruppo di lavoro istituito presso il ministero: basti ricordare, a mero titolo esemplificativo che, dopo il sistema proporzionale vigente dal 1975 al 2002, fu proposto un sistema a doppio turno elaborato della Commissione presieduta da Luigi Scotti, nel 2015 (11 primo maggioritario su più collegi, il secondo proporzionale a collegio unico nazionale). Altri sistemi reperibili nella letteratura di settore e in proposito non mancano indicazioni dai competenti organi del Consiglio d’Europa, come la Commissione di Venezia intervenuta ripetutamente sul tema.

Ritengo che qualunque sia la scelta verso la quale si orienterà 11 consenso, esso dovrà radicarsi nella consapevolezza della fisiologica e peraltro inellmlnablle pluralità delle culture della magistratura,rifuggendo dalla semplificazione che confonde il valore del pluralismo con le degenerazioni del correntismo. Ed è in questa luce che occorrerà valutare i possibili interventi.

Va anche considerata, altresì la possibilità di assicurare un contingentamento della presenza del CSM di giudici e pubblici ministeri, che rifletta la proporzione tra le due categorie nella magistratura di merito.

Inoltre, una possibile ipotesi da affiancare al nuovo sistema elettorale, potrebbe poi essere quella del rinnovo parziale del Consiglio Superiore della Magistratura come già avviene per altri organi costituzionali: ad esempio, ogni due anni potrebbero essere rinnovati la metà dei laici e la metà dei togati. Una tale previsione potrebbe rivelarsi utile sia ad assicurare una maggiore continuità dell ’istituzione, sia a non disperdere le competenze acquisite dai consiglieri in carica, sia a scoraggiare logiche spartitorie che poco si addicono alla natura di organo di garanzia che la Costituzione attribuisce al CSM. Dal punto di vista costituzionale, si tratta di comprendere se un tale obbiettivo sia alla portata di una legge ordinaria, cioè se sia possibile interpretare i «quattro anni» di cui al penultimo comma dell’art. 104 Cost, come riferiti ai membri singolarmente considerati e non all’organo nel suo complesso.

Infine, ritengo pure che vada certamente affrontato il tema della migliore regolamentazione della candidatura dei magistrati a cariche elettive, in particolare per quanto riguarda il loro successivo ricollocamento, bilanciando il valore costituito dalla fiducia dei cittadini nell’esercizio imparziale della giurisdizione con le legittime aspirazioni individuali del cittadino magistrato e con l’interesse collettivo a che le istituzioni politiche possano avvalersi del contributo di chi – attraverso la pratica della giurisdizione – ha sperimentato la criticità delle regole e delle procedure vigenti.

  1. 8 Conclusione

Molti e molto impegnativi sono i fronti di lavoro di questo governo nel settore della giustizia. Sono consapevole di aver trascurato, in questa già troppo lunga sintesi delle principali e ineludibili linee di azione, alcuni capitoli importanti che andranno necessariamente affrontati. Uno su tutti, il capitolo della magistratura onoraria, che attende riforme e risposte e un collocamento nel sistema rispondente ai principi costituzionali in materia. Non ho affrontato questo tema, di cui peraltro sono pienamente consapevole, anche perché siamo in attesa di un importante pronunciamento della Corte costituzionale che potrebbe incidere significativamente sulle condizioni d’insieme.

Di fronte a questa panoramica di problemi, non posso non condividere con voi la percezione della gravità del momento, dell’enormità dell’impegno, della necessità di agire in tempi stretti e di addivenire a soluzioni condivise.

Non cerchiamo la perfezione, ma le migliori risposte possibili nelle condizioni date.

Ce la faremo se saremo animati dalla stessa convinzione che, in altra epoca, non meno drammatica e divisa della nostra, ha sostenuto tanto i padri costituenti quanto i fondatori del grande progetto europeo che in questo nostro tempo mostra tutta la sua lungimiranza: l’augurio e l’impegno da parte mia è che al termine di questa fatica possiamo anche noi pronunciare le parole che furono di Alcide Gasperi, Konrad Adenauer e Robert Schuman: «Ciò che ci unisce è più forte di ciò che ci divide».

Roma, 14 marzo 2021