È sempre più frequente che, soprattutto in prossimità di scadenze elettorali, i leader dei vari partiti si lascino andare in audaci promesse, con il chiaro intento di rendere più accattivante la loro offerta politica e attrarre consensi.

Di recente, c’è chi si è impegnato ad elevare le pensioni minime, chi avrebbe voluto proseguire l’azione avviata con l’erogazione di bonus incentivanti, chi si è lanciato nella promessa di un “reddito di cittadinanza”. 

Le tre ipotesi in questione sono molto diverse tra loro: la prima è una misura di equità rivolta a chi, data l’età, non è più in grado di produrre un reddito da lavoro; la seconda punta a rafforzare alcuni specifici settori: la scuola, lo sport, la cultura; la terza può apparire anch’essa come una misura di equità ma, essendo rivolta a chi non lavora, anche per propria volontà, potrebbe apparire per nulla equa.

Non desidero entrare nel merito delle tre proposte, anche se appare chiaro quale sia il mio orientamento; desidero, invece, soffermarmi su un argomento collaterale a quelli citati: mi riferisco alle modalità attraverso le quali si intendono reperire le somme necessarie per coprire i costi da affrontare per raggiungere gli obiettivi indicati.

Su questa materia, le posizioni sono altrettanto differenti: c’è chi vorrebbe farlo abbassando il prelievo fiscale, così da ridurre l’evasione e immettere nuove risorse nei circuiti produttivi; c’è chi intende farlo aumentando la tassazione sui patrimoni e c’è chi sostiene che il risultato si possa ottenere elevando l’indebitamento del Paese. 

Ognuna delle ipotesi formulate presenta pregi e difetti, ma nessuna risponde a una domanda ben precisa: chi paga?

In proposito, cito una considerazione che mi è stata riferita da un imprenditore locale il quale, in maniera piuttosto semplice, mi ha detto: “se, producendo di più, si può guadagnare di più e favorire la creazione di nuova occupazione, saranno in molti a farlo, sia tra gli imprenditori sia tra i professionisti, sia tra i lavoratori dipendenti, perché, guadagnando di più, miglioreranno la qualità materiale della loro vita.”

“Se, invece,” ha proseguito l’imprenditore, “lavorando e producendo di più, si può guadagnare di più ma, guadagnando e producendo di più, si percepisce di meno, per via della progressività fiscale,   perché uno come me dovrebbe lavorare e far lavorare di più, creando nuova occupazione?”

Insomma: il tema dell’equità sociale si deve sempre coniugare con il tema del suo costo e di chi debba affrontarlo, altrimenti rischia di produrre effetti inversi, rispetto a quelli auspicati. 

Pochi anni addietro, nel periodo contrassegnato dal “governo Monti”, il Parlamento varò una disposizione apparentemente equa, perché si proponeva di tassare un po’ di più i proprietari di barche, notoriamente abbienti. 

Ebbene, l’effetto fu tutt’altro che favorevole all’erario, poiché la voce in questione registrò una notevole minore entrata: perché? Perché i proprietari dei natanti trasferirono l’immatricolazione delle loro imbarcazioni in paesi “tax free”, obbligando il Governo a rivedere rapidamente il provvedimento. 

“Mutatis mutandi”: se gli imprenditori, che già versano all’erario circa il 70% dei loro introiti, dovessero immaginare l’introduzione di nuove imposte, di natura progressiva o meno poco importa, necessarie per sostenere la misura del “reddito di cittadinanza”, chi potrebbe impedire loro di andar via dall’Italia, come peraltro stanno già facendo in molti?

Siamo certi che una maggiore pressione fiscale determini un maggior gettito per l’erario? Siamo sicuri che, al contrario, non determini maggiore evasione, maggiore elusione o, addirittura, la fuga verso l’estero?

Siamo sicuri che eventuali misure da assumere contraendo nuovo debito pubblico, come vorrebbero alcuni, possano ricevere la necessaria copertura finanziaria, dato che, sui debiti, lo Stato, cioè il contribuente, paga fior di interessi?

Non credo che il rapporto virtuoso lavoro/reddito possa avere manifestazioni diverse, altrimenti il risultato potrebbe essere il seguente: + tasse – lavoro; + reddito di cittadinanza + lavoro nero; + lavoro nero – gettito fiscale; – gettito fiscale + deficit. 

Mi rendo conto che le variabili da prendere in considerazione sono molto più numerose, mi rendo conto che uno schema come quello appena indicato possa apparire banale, ad ogni modo, credo che, nonostante tutto, sia anche abbastanza chiaro e comprensibile.

Insomma, un governo non può limitarsi a promettere, deve anche capire e spiegare a ciascun cittadino, come intenda mantenere le promesse e a spese di chi, altrimenti, il rischio che si potrebbe correre sarebbe quello di ottenere l’inverso di quanto ci si aspetti!