Circa un terzo degli italiani non ha vissuto gli anni di tangentopoli, la catastrofica crisi dei partiti, né la travolgente, quanto inutile, vittoria di Berlusconi del 1994. 

Circa quattro quinti degli italiani non ha vissuto né la guerra, né il nazifascismo, né il comunismo stalinista e le sue violente storture, a cominciare dai campi di concentramento e dai gulag. 

Solo il cinquanta per cento conosce il boom economico degli anni ’60, pochi ricordano la marcia dei 40.000 quadri intermedi della FIAT, le rivolte studentesche del ’68, l’invasione della Cecoslovacchia da parte dell’esercito dell’Unione Sovietica, la “guerra dei sei giorni”, lo stragismo, il terrorismo, ecc. 

Costruire una comunicazione politica fondata su questi riferimenti, importanti ma ormai abbondantemente storicizzati, può significare, quindi, rinunziare a farsi comprendere da chi non sa di cosa si stia discutendo, ogni qualvolta si citino tali episodi della storia del Paese. 

Figuriamoci se chi non sa nemmeno che la Russia non si affaccia nel Mediterraneo, può ritenere utili i citati richiami storici e ciò che essi potrebbero significare oggi, figuriamoci se riesce a contestualizzarne gli effetti! 

Eppure, forse proprio a causa di questa ignoranza crassa, nell’attualità del confronto politico, si preferisce parlare ancora di fascisti, di comunisti, di pentapartito ecc. trascurando temi molto più attuali ed importanti, che normalmente vengono affrontati per slogan e con superficialità! 

Stabilità o precarietà occupazionale, efficienza della sanità, della giustizia o della burocrazia, conflitto generazionale, rapporto con le dipendenze, problematiche della disabilità, debordante potere della finanza speculativa ed altre questioni, che oggi continuano a corrodere le nostre carni, si discutono per aforismi, trascurandone essenza e conseguenze.

Insomma, da parte dei vari sedicenti leader “de noantri”, non si avverte nessuno sforzo logico che vada al di là dell’enunciazione del tema o, per usare un esempio scacchistico, che ipotizzi cosa fare dopo la prima mossa, magari pensando alla seconda e alla terza! 

In questo quadro di comunicazione approssimativa, retorica e strumentale, il premierato e la sua attribuzione rappresentano la ciliegina di una torta che nessuno dice ancora con quali ingredienti debba o possa essere composta, né se debba o possa essere dolce o salata, dato che, se malauguratamente fosse entrambe le cose, farebbe vomitare!

La sensazione che avverto sempre più nettamente, sia da operatore dell’informazione, sia da semplice cittadino, non mi appare per nulla gradevole, tuttavia è perfettamente in linea con l’andamento delle vicende vissute dall’Italia nell’ultimo lustro: si bada molto al chi, si bada meno al cosa, si bada pochissimo al come ed agli effetti che una scelta o un’altra potrebbero determinare.

Il mondo è sull’orlo di una gravissima crisi economica e militare, eppure, i sedicenti leader del “Belpaese” fanno a gara per autoproclamarsi vincitori, trascurando il dettaglio che, essendo passati da un sistema elettorale tendenzialmente maggioritario ad un sistema elettorale tendenzialmente proporzionale, chi vince lo stabilisce il Parlamento. 

È il Parlamento, infatti, che attribuisce la fiducia non a chi ottiene la maggioranza dei voti degli italiani, ma a chi consegue la maggioranza dei voti di deputati e senatori, che è cosa assai differente!

Nonostante la questione non sia di difficile comprensione, c’è chi ancora non riesce a comprenderla, né a comprendere che è necessario procedere alla elaborazione di un ulteriore nuovo modello di confronto politico in cui, volendo usare i vecchi schemi, la nuova destra è quella che vede al centro la Lega, mentre la nuova sinistra è quella interpretata dai “grillini”. 

La configurazione incentrata sui vecchi modelli, però, potrebbe non essere sufficientemente chiara, dunque, in maniera più pertinente, parlerei di espressioni politiche rivolte alla società reale e di espressioni politiche rivolte alla società finanziaria. 

Gli interessi di questi due nuovi fronti, peraltro non ancora ben delineati al loro interno, sono assolutamente contrapposti, non hanno nulla in comune, perché nulla in comune hanno coloro i quali vivono di produzioni, consumi e spesa e coloro i quali vivono di depositi statici e di speculazioni. 

In questo contesto, pensare che bastino piccoli aggiustamenti alle reciproche posizioni, o che sia sufficiente la predisposizione di un nuovo “manuale Cencelli”, vuol dire trovarsi assai lontani dalla realtà nella quale viviamo e dalla quale, in assenza di un preciso progetto, rischiamo di essere tragicamente travolti!