Il Sud, a giudizio di certa stampa interessata, sarebbe stato e sarebbe ancora una palla al piede per lo sviluppo del paese. La verità è ben altra: il Sud non riesce a decollare in quanto continua ad essere depredato del capitale finanziario e sociale di cui potrebbe e dovrebbe disporre, attraverso una serie di provvedimenti, ai quali non sa opporsi, che gli sottraggono risorse e futuro. 

L’ultimo in ordine di tempo è quello che riguarda l’articolo 241 del cosiddetto “decreto ripartenza”, grazie al quale le somme comunitarie destinate al Mezzogiorno per la coesione nazionale potranno essere utilizzate in tutta Italia, alla faccia della tanto declamata e mai realizzata perequazione infrastrutturale. 

Il problema, però, non riguarda soltanto questi aspetti. Anche sul piano degli investimenti privati, infatti, la situazione non è affatto diversa. Secondo un’indagine FABI, il 50,7% dei prestiti garantiti dallo stato andranno al Nord, dove però hanno sede soltanto il 38% delle partite iva e delle piccole e medie imprese, mentre al Sud andranno le solite briciole.

Insomma, ancora una volta ci troviamo di fronte ad una grave ingiustizia nei confronti del Mezzogiorno e della Sicilia ai quali, come sempre, si nega ogni possibilità di crescita, ma che si continuano ad offendere apostrofandoli con una sequela di improperi, veicolati da un mondo dell’informazione prezzolato e/o strumentalmente disinformato.

L’effetto di provvedimenti come quello citato determina una situazione estremamente sbilanciata e paradossalmente immobilizzata. In questo momento, infatti, l’Italia è come un’automobile con il motore al massimo dei giri ed il freno a mano tirato. 

L’energia, il lavoro e le potenzialità sono al Sud, il freno è nella burocrazia e nella politica dei partiti romani, oltre che nelle loro insulse diramazioni locali, mentre il Nord è come un serbatoio già pieno che insiste a pretendere che gli si versi altro carburante che però, non potendo più esservi contenuto, si versa di fuori senza trasformarsi in energia. 

Certamente così non si può continuare e non solo per gli effetti devastanti sul Mezzogiorno, ma per quelli che incidono sull’intero sistema italiano, già claudicante di suo. 

Il Sud e la Sicilia, però, non possono solo lamentarsi, devono cambiare subito registro passando dalle messianiche attese assistenzialistiche, incapaci di produrre sviluppo, all’impegno ed alla partecipazione diretta ai processi democratici, che determinano le politiche di ripartenza, a cominciare dalle riforme della giustizia e della burocrazia.

Bisogna prendere coscienza che è necessario ingranare la marcia, levare il freno a mano e trasformare la potenza in movimento, in lavoro, in crescita, in infrastrutture, in opportunità, ma a due condizioni: che alla guida vi sia un buon pilota e che l’itinerario sia stato ben tracciato. 

Per uscire da ogni metafora, è necessario che i cittadini prendano coscienza del fatto che nessuno farà mai quello che spetta fare a loro, dunque devono scendere in campo e scegliersi uomini e programmi in grado di consentire il raggiungimento degli obiettivi prefissati guardando avanti, non certo indietro, verso anacronistiche visioni para-borboniche.

Il passato non torna e comunque non possiamo certamente cambiarlo. Il futuro, invece, se riusciamo ad evitare di perdere tempo nella coltivazione di malinconici revanscismi, possiamo determinarlo in una forma migliore di quella che si prospetta. 

Per restare alla tragedia di questi mesi, un buon governo non è quello che si limita a dire che non bisogna uscire di casa e che bisogna lavarsi frequentemente le mani, magari impegnando centinaia di improbabili, ma costosissimi, presunti esperti. 

Un buon governo è quello che dice cosa fare per non diffondere il virus, ma anche non fermare l’economia, per non limitare troppo la libertà di ciascun cittadino e soprattutto per fare in modo di somministrare a tutti e con successo le cure necessarie, a cominciare da quelle che servono a riequilibrare situazioni di grave scompenso territoriale, come quello venutosi a creare in Italia dall’unità in avanti. 

Trovare una classe dirigente in grado di governare non è certo facile, soprattutto quando l’ignoranza diventa un titolo di merito di cui andare fieri, come purtroppo accade in certi ambienti politici di maggioranza e di opposizione. 

Così come non è facile elaborare un programma di sviluppo realistico e forte, in grado di ridurre il dislivello infrastrutturale ed occupazionale in atto esistente tra il Nord ed il Sud, guardando ad un’Europa protesa verso il Mediterraneo, l’Africa e l’Asia. 

Tuttavia è dalla partecipazione civile che bisogna partire, soprattutto se non si vogliono ripetere gli errori del passato e precipitare irrimediabilmente in un futuro che ne erediti le parti peggiori.