Alcune settimane addietro, ho avuto il piacere di presentare, alla Camera di Commercio di Catania, il libro scritto da un maestro artigiano, Vincenzo Russo, più volte campione del mondo di acconciatura; il titolo del volume, infatti, era “Le mani tra i capelli”.

Al di là della forma letteraria, assolutamente semplice e priva di qualsiasi sovrastruttura retorica, il testo non si limita affatto a raccontare la vita personale e professionale dell’autore, ma rappresenta lo spaccato di un’epoca, per certi versi, simile a quella attuale, fatta di emigrazione e di immigrazione interna al nostro Paese, di orgoglio e di passione, di sofferenza e di successo. 

Vincenzo Russo, infatti, è nato a Cerignola, in Puglia, ma, sin da ragazzino, insieme ai suoi familiari, tutti in cerca di lavoro, come tantissimi meridionali in quel periodo, si è trasferito a Milano, dove, fra alterne vicende, affrontando mille sacrifici, è diventato il barbiere dei vip del capoluogo lombardo.

Russo ha messo “le mani tra i capelli” di uomini come il premio Nobel, Salvatore Quasimodo, come il principe dei giornalisti italiani, Indro Montanelli, come il petroliere Moratti o come il Cardinale Montini, successivamente divenuto Papa Paolo VI, recentemente proclamato Santo.

Nonostante queste straordinarie frequentazioni, però, l’autore ma non si è mai messo “le mani tra i capelli”, nel senso che non si è mai perso d’animo: anzi!

Sin da ragazzo, infatti, il maestro Russo, non ha mai aspettato che gli scendesse la manna dal cielo, non si è mai sottratto alle funzioni più umili e faticose, non si è montato la testa; al contrario, si è tirato su le maniche ed ha lavorato anche per quindici ore al giorno.

Nel corso della sua vita di emigrato, dal suo osservatorio privilegiato di barbiere dell’alta borghesia della città motore dell’economia italiana, egli ha visto la trasformazione della nostra società, ne ha conosciuto i vizi e le virtù, ha sofferto, ma non si è mai fermato.

Il maestro Russo è andato avanti, ha imparato la vita, si è aggiornato, ha innovato e non si è mai abbattuto, non ha mai perso le speranze: ha avuto la forza di guardare avanti, fino a diventare campione del mondo di acconciatura per uomo.

Insomma, “Le mani tra i capelli” rappresenta una grande lezione per chi, oggi più che mai, pensa che salario e lavoro siano indipendenti l’uno dall’altro e per chi pensa che vi sia qualcuno disposto a lavorare il doppio e guadagnare la metà, per consentire ad altri, che potrebbero lavorare, di guadagnare senza farlo.

L’elemosina di stato costituisce uno dei peggiori fattori diseducativi che si possano mai introdurre in un sistema già di per sé claudicante, come il nostro, ma è anche la logica conseguenza del pensiero di chi credeva e crede ancora che il diritto alla studio si conquisti regalando un “18 politico” ad un perfetto somaro.

D’altra parte, a differenza degli asini a quattro zampe, quelli a due gambe oltre ad essere ignoranti, sono anche presuntuosi. Ad esempio, presumono che i cittadini siano tutti come loro e invece, per fortuna, se è vero che alcuni sono peggiori, la maggior parte sono migliori.

Questi ultimi, come ciascuno di noi, possono avere momenti di disorientamento, possono sentirsi aggrediti dalla depressione, possono sbagliare ma, una volta superata la condizione di disagio, tornano a farsi guidare dal buonsenso e non dalla cieca rabbia.

Grazie al buonsenso, chiunque sia dotato di un minimo di onestà intellettuale è in grado di comprendere che se il patrimonio di cui dispone si deteriora, si impoverisce o si spreca, la credibilità finanziaria del titolare di quel patrimonio decresce e, per lui, ottenere credito è sempre più difficile, ma anche sempre più costoso.

In condizioni simili, al di là del valore storico dei fatti, che devono indurci a non ripetere gli sbagli compiuti, poco importa se la responsabilità del disastro sia di altri, sia degli errori commessi da qualcuno nel passato, recente o remoto. 

Ciò che importa è se, nel presente, sia possibile trovare una soluzione valida e credibile sia per pagare i debiti già contratti, sia per non contrarne altri, che sarebbe impossibile onorare.

C’è pure un’altra cosa che è bene chiedersi: sono credibili le politiche pubbliche che per ridurre le entrate fiscali, come promesso in campagna elettorale, impongano l’istituzione di altre onerose entrate fiscali?  

Può sembrare un paradosso, ma è esattamente quello che stiamo rischiando oggi, a causa di un ulteriore equivoco, vale a dire l’illusione che termini come eguaglianza o come equità o come pari opportunità abbiano lo stesso significato della parola uniformità. 

Beh! Non è così! Per tornare all’esempio degli esami universitari: eguaglianza significa parità di trattamento a parità di condizioni; equità vuol dire dare 18 a chi vale 18 e 30 a chi vale 30; pari opportunità vuol dire permettere a chiunque valga 18 di poter avere a disposizione gli strumenti che gli servono per avere 30.

Uniformità, invece, vuol dire dare indistintamente 18 a chi vale 30 o 30 a chi vale 18, per far apparire formalmente uguali coloro che tali non sono, a tutto danno dei migliori, i quali, così stando le cose, scappano via!