di Alice Garofalo

Lo ricordate tutti il movimento social #MeToo? Questo movimento social, definito a carattere femminista, nasce nel 2006 con Tarana Burke ed è poi stato reso celebre da Alyssa Milano nel 2017. Le donne che sono state vittime di molestie sessuali e violenza, per lo più in ambito lavorativo, pubblicavano foto con l’hashtag #MeToo, per sottolineare come la violenza di genere sia largamente diffusa e quotidiana. 

La settimana tra il 15 e il 22 ottobre sarà il quarto anniversario dell’hashtag che ha dato vita non solo a questo movimento ma anche a tanti altri. 

Infatti, negli ultimi anni sui social si è evidenziato un forte incremento di discorsi inerenti alle molestie sessuali e alla violenza di genere. Negli ultimi mesi, ad esempio, si è parlato tantissimo di cat calling e da ancor prima dell’elaborazione del trauma da stupro facendo spesso riferimento al tempo limitato che si ha per esporre denuncia. 

Questi movimenti social sono il perfetto esempio del lato positivo dell’anonimato in rete. Parlare di certi vissuti personali risulta assai difficile e l’anonimato che i social garantiscono permette di poter confessare l’abuso subito più facilmente. 

#MeToo ha per certo svolto il lavoro che si era preposto dato che ancora oggi l’hashtag viene usato frequentemente, ma definire il movimento femminista porta ad equivoci.

Il primo consiste nell’evocazione spontanea dell’opposizione uomini contro donne e del conseguente assioma che gli uomini sono usurpatori e le donne vittime, escludendo la possibilità dell’esistenza di uomini vittime di molestie sessuali e violenza.

Il secondo riguarda il termine femminismo che nasce per descrivere un movimento politico volto a pari opportunità, diritti e trattamenti tra uomini e donne. 

Fin quando la violenza, di qualsiasi tipo, verrà giudicata e valutata sulla base delle caratteristiche delle vittime non verrà mai tutelata adeguatamente dalla legge né sarà mai pesata allo stesso modo di altri tipi di violenza da usurpatori, vittime e spettatori.

Un esempio attuale è il DdL Zan, che chiede la tutela di tutti coloro che non sono eterosessuali, dimenticando che indipendentemente dal sesso o dall’orientamento sessuale nessuno dovrebbe essere violentato. 

È giusto parlare di minoranze, perché ci sono, ma è anche importante non annichilirle negli aggettivi che le descrivono: questo genera e valida stereotipi difficili da sradicare che alimentano e spesso legittimano l’abuso di potere su tali gruppi.

Questo processo può essere considerato parte dell’atteggiamento reticente che caratterizza il fenomeno delle molestie sessuali e della violenza di genere: gli aggressori non valutano come eccessivo il loro comportamento e le vittime si sentono appartenere a quella minoranza definita debole, sottomessa e non tutelata sviluppando una grande sofferenza e spesso aggravata non solo da sensi di colpa ma anche da vergogna, stati d’animo che invece dovrebbero appartenere più a chi tali abusi e/o soprusicompie.

In questa settimana (e non solo) siamo invitati a fare sentire meno soli tutti/e coloro che hanno subito molestie indipendente dal loro sesso e da quello del loro aguzzino, a combattere la violenza di genere che è in largo aumento e a ricordare che l’abuso è sempre sbagliato e ha lo stesso peso su tutti.