Era il 1988 quando venne scelto il primo dicembre come data per la Giornata Mondiale conto l’AIDS, una decisione nata dal Summit mondiale dei ministri della sanità. La necessità di dedicare una giornata alla malattia derivava non solo dalla voglia di aumentare la prevenzione su di essa  – soprattutto dopo i dati allarmanti emersi negli anni precedenti che hanno decretato il virus HIV come uno dei più pericolosi della storia – ma anche e soprattutto per informare riguardo l’AIDS che per anni ha funto da elemento di emarginazione sociale: gli infetti da HIV venivano infatti spesso allontanati dagli ambienti di lavoro o semplicemente dai luoghi di incontro, e subivano ingiurie essendo categorizzati come soggetti “promiscui”, “omosessuali”, “drogati”, etc.
Bisogna ricordare che la sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS), causata dal virus HIV, è una malattia che attacca il sistema immunitario aumentando, in maniera esponenziale, la possibilità di contrarre malattie mortali. Solo gli effetti provocati sul sistema immunitario, che spesso si manifestano dopo anni, rendono possibile la presa di coscienza della propria sieropositività: l’unico altro modo per sapere di aver contratto il virus sarebbe quello di effettuare le apposite analisi. Durante la Giornata Mondiale dell’AIDS, le piazze italiane danno dunque la possibilità di effettuare tali esami in forma assolutamente gratuita.
Arrivare però ad una tale consapevolezza e conoscenza della malattia non è stato tuttavia semplice: come già accennato in precedenza, per anni i sieropositivi sono stati emarginati dalla società fino a costringere, molti di essi, a nascondere le proprie condizioni di salute. Tante le personalità che si sono battute per sconfiggere i pregiudizi a riguardo: in questa giornata, oltre a commemorare tutte le vittime, non si possono non citare tre delle storie che hanno permesso grossi passi in avanti, da parte della cultura di massa, nei confronti della malattia.

Ryan White, l’adolescente emblema della lotta contro i pregiudizi della società
Era il 1984 e Ryan aveva appena tredici anni quando scoprì, dopo il ricovero in ospedale per polmonite, di essere positivo all’HIV. Una volta dimesso dall’ospedale, al giovane ragazzo fu negata, da tutta la cittadina in cui viveva, la possibilità di condurre normalmente la sua quotidianità: emarginato dalla scuola e dagli amici, incolpato degli atti più ignobili e inverecondi. Furono firmate persino delle petizioni per allontanare Ryan da qualsiasi ambiente di socialità. Neanche l’avvocato, a cui ricorse disperatamente la madre, riuscì a ristabilire i diritti negati. Il ragazzo, a cui venne diagnosticata l’emofilia a pochi mesi dalla nascita, divenne sieropositivo all’HIV in una delle tante trasfusioni di routine e, nel tentativo di salvare se stesso da una malattia, ne contrasse un’altra che segnò la sua condanna a morte. Le ingiustizie subite però fecero il giro del mondo ed aprirono più di un’inchiesta a riguardo: venne infatti criticato il sistema scolastico e tutta la disinformazione sui problemi sanitari. L’atteggiamento di Ryan, sempre sorridente e coraggioso, divenne poi emblematico per tutti coloro che, in quel momento, si trovavano nella sua stessa condizione: un fino ad allora sconosciuto tredicenne americano riuscì a dare forza a migliaia di sieropositivi, e spinse il mondo dei media a diffondere messaggi più veritieri, e meno calunniatori, nei confronti dell’AIDS. Tra le personalità di spicco del mondo dello spettacolo, furono Michael Jackson ed Elton Jhon a stringersi attorno al ragazzo per tutto il periodo della malattia; Sir Elton dedicò il singolo “The Last Song” proprio a Ryan White, scomparso a soli 19 anni ma vissuto cinque anni più di quanto venne inizialmente previsto dai medici, lottando fino all’ultimo non solo contro la sua malattia ma anche contro i pregiudizi su di essa.

“Philadelphia”, la vera storia che si cela dietro uno dei primi film di successo che parlò dell’AIDS al grande pubblico
Nel 1993 uscì nelle sale il film “Philadelphia” che valse l’Oscar come Miglior attore protagonista al magnifico Tom Hanks, e l’Oscar per la Migliore colonna sonora al brano “Street of Philadelphia” di Bruce Springsteen. Il film, diretto da Jonathan Demme, narra la vicenda di un brillante avvocato allontanato dallo studio legale dove lavorava, una volta scoperta la sua omosessualità e sieropositività. L’unico ad affiancare Andy in una lotta legale è l’avvocato Joe Miller che, fino a quel momento, aveva vissuto nell’ombra di cause poco importanti. Nonostante l’udienza di primo grado aveva riconosciuto l’effettiva discriminazione attuata ai danni di Andy, quest’ultimo non arriverà mai a conoscerne il verdetto, sconfitto dalla malattia. La narrazione del film si ispira liberamente a fatti realmente accaduti nel 1987 all’avvocato Geoffrey Bowers, che segnarono uno dei primi episodi di processi giudiziari in difesa delle discriminazioni verso i sieropositivi.  Anche nella realtà l’avvocato morì poco dopo l’inizio del processo che comunque, dopo sei anni, dichiarò lo studio legale colpevole. “Philadelphia” fu uno dei primissimi prodotti mediatici e cinematografici a trattare con drammatica serietà i problemi sociali che colpiscono le vittime dell’HIV. La scelta di star hollywoodiane acclamate come Tom Hanks e Denzel Washington si è inoltre rivelata fondamentale per veicolare il messaggio al grande pubblico.  

Magic Johnson, l’inclusione nello sport e la speranza nella ricerca scientifica
Il 7 novembre 1991, Magic Johnson – uno dei più grandi cestisti al mondo – dichiarò al Forum club di aver contratto la malattia. Una scelta coraggiosa la sua, che lo mise davanti alla possibilità di essere allontanato per sempre dal mondo dello sport. Eppure, la notizia venne accolta da tutti i tifosi del campione (e della pallacanestro in generale) come una tragedia. Messaggi di solidarietà e di grande vicinanza si raccolsero da tutti gli Stati Uniti nei confronti di Johnson. Inaspettatamente il cestista tornò a giocare sia nel Dream Team olimpico e sia nei suoi amati Lakers, un’impresa questa che sfidò non solo le gravi condizioni fisiche alle quali era sottoposto per via del virus ma anche – e soprattutto – qualsiasi preconcetto riguardo l’AIDS. Grazie al percorso medico fatto di numerosissime terapie, Magic Johnson fu uno dei primi a lanciare un messaggio di speranza e fiducia nei confronti dei progressi scientifici. Proprio il 7 novembre scorso, trent’anni dopo aver scoperto la propria sieropositività, l’ex cestista ha pubblicato un tweet ricco di fede e gratitudine. In questi trent’anni Johnson è stato uno dei volti principali dell’attivismo contro l’AIDS, scrivendo libri, creando fondazioni benefiche, organizzando incontri con test gratuiti, fino ad essere nominato Messaggero di Pace ONU. L’obbiettivo, tra i tanti, è sicuramente quello di rendere accessibili le cure – a cui fu sottoposto Johnson – a tutti i sieropositivi.

Queste e altre storie sono state fondamentali per combattere i pregiudizi legati alla malattia e per promuovere la ricerca scientifica. Nella giornata di oggi, dedicata proprio all’AIDS, bisogna dunque tenere vivi, nella memoria collettiva, questi episodi emblematici e continuare a divulgare la natura della malattia che, proprio a causa del Covid ha visto l’aumento di mancate diagnosi e l’incremento di vittime (si pensi che, solo nel 2020, 120.000 sono stati i bambini morti a causa dell’AIDS).
A Catania, oltre alla sensibilizzazione nelle scuole e nelle Case Circondariali, sarà possibile effettuare gratuitamente il test nei seguenti punti:

PTA San Giorgio di Catania
PTA di Acireale (Via Martinez)
Ospedale di Biancavilla – Laboratorio Analisi
Ospedale di Bronte – Laboratorio Analisi
Ospedale di Caltagirone – Laboratorio Analisi
Ospedale di Caltagirone – UOC di Malattie infettive
Ospedale di Giarre – Laboratorio Analisi
Ospedale di Militello in Val di Catania – Laboratorio Analisi
Ospedale di Paternò – Laboratorio Analisi
Poliambulatorio di Tremestieri Etneo (Via Palmentazzo)

Giambirtone Ilenia