Tra le tradizioni siciliane più antiche, praticate nel periodo delle festività natalizie, vi è la “Cunzata da Cona”, che letteralmente significa “preparare/addobbare/condire la cona”: quest’ultimo termine è un regionalismo presente prettamente in area meridionale e deriva dal greco bizantino εἰκόνα (eikóna) ovvero “immagine, icona” che, nello specifico nel sud Italia, fa riferimento agli altarini o edicole votive. L’usanza siciliana, dunque, prevede l’allestimento durante il periodo di Natale degli altarini sparsi per le vie urbane.
Quali sono, però, le origini di tale usanza? così come il termine “cona”, anche la pratica di affiggere per le strade immagini propiziatorie ha origine dalle antiche tradizioni greche, ereditate poi dalla cultura romana con i “larari”, dove erano presenti raffigurazioni dei Lari, ovvero divinità venerate soprattutto all’interno delle mura domestiche perché protettori del nucleo familiare. Proprio in concomitanza col solstizio d’inverno si festeggiava la “Sigillaria”, una festa nella quale si donavano statuine in terracotta – che spesso raffiguravano i parenti defunti – da porre nei larari (in tal modo simili agli altarini odierni), oppure da radunare in un piccolo spazio recintato (questa pratica è stata da molti studiosi riconosciuta come un’antesignana del presepe moderno). Le edicole votive, che tutt’oggi sono presenti tra le vie delle città siciliane, risentono però del culto e della fede cristiana e dunque rappresentano immagini sacre. Inizialmente era fissato al 13 dicembre, data in cui si celebra S. Lucia, il momento in cui “cunzari a cona” con piante benefiche; successivamente però si è consolidata l’usanza di abbellire le edicole votive – in prossimità del Natale – con frutta, verdura e dolci, o con biancospino e cotone idrofilo, così come testimoniato anche da un passo de I Malavoglia di Verga: «Come s’avvicinava la novena di Natale, i Malavoglia non facevano altro che andare e venire dal cortile di mastro Turi Zuppiddu. Intanto il paese intero si metteva in festa; in ogni casa si ornavano di frasche e d’arance le immagini dei santi, e i fanciulli si affollavano dietro la cornamusa che andava a suonare davanti alle cappellette colla luminaria, accanto agli usci». Come si legge dal racconto di Verga, attorno agli altari si radunavano inoltre cantori e “ciaramiddari” (zampognari), che intonavano canti sacri e popolari.


Le prelibatezze poste nella cona potevano essere consumate solo al termine delle festività: da qui deriva il modo di dire, tutt’oggi popolare e in uso, “ti calasti ‘na cona” utilizzato soprattutto in riferimento a chi termina un’abbuffata.
La tradizione, quasi del tutto dimenticata e praticata solo in alcuni paesini dell’entroterra siculo, è stata quest’anno riesumata dal Comune di Catania grazie al progetto “Adottare una Cona” che ha reso partecipi gli studenti di varie scuole catanesi (tra queste la “Battisti”,  la “Deledda”, la “Diaz”, la “Manzoni”, la “Tempesta”, la “Petrarca” e la “S.Giovanni Bosco”). Gli alunni hanno così ridato vita all’antica tradizione abbellendo, con frutta e dolci, gli altarini presenti nel quartiere di San Berillo. Un momento emozionate che ha rievocato, grazie ai più piccoli, le memorie delle vecchie generazioni che continuano a segnare il nostro patrimonio folcloristico.

Ilenia Giambirtone