La Sicilia deve decidere se vuole essere un deposito di voti per i partiti nazionali, alle cui logiche vendersi per un “pugno di seggi”, come vorrebbe qualcuno e come altri hanno fatto, oppure vuole ottenere lavoro, strade, autostrade, ferrovie, porti, ponte, scuole, salvaguardia per le proprie produzioni e la piena applicazione dello statuto?

Questa è la ì, forse banale, domanda che i siciliani devono porsi ed alla quale devono rispondere, assumendosene la responsabilità. 

Il futuro è nelle nostre mani e sta a noi costruirlo, perché nessuno farà mai per noi ciò che noi stessi dovremmo fare e non facciamo. 

Partecipare al cambiamento è un dovere civile, è l’unica cosa che ci fornisce il diritto di poter protestare a ragion veduta.

In tal senso, qualcuno degli amici di Facebook e di METROPOLIS più mi ha fatto notare che parlo spesso dei difficili rapporti tra la Regione siciliana e lo Stato e mi occupo poco del governo regionale, che certamente non brilla né per efficienza, né per capacità innovativa. 

Forse è vero, forse dovrei farlo più spesso e con maggiore attenzione, oltre che alle intenzioni, anche ai fatti reali, dunque, rimedio subito. 

Mentre a Roma i movimenti sicilianisti chiedono il rispetto dello statuto, più lavoro, il completamento degli assi autostradali, delle tratte ferroviarie, del ponte, delle scuole, dei porti, delle infrastrutture logistiche funzionali alla produzione ed alla commercializzazione, ecc. a Palermo essi devono chiedere la riforma burocratica, la riforma della Formazione Professionale, la creazione di reti di sviluppo territoriale, misure di tutela per l’agricoltura, la pesca, per la valorizzazione dei prodotti locali, ma anche aiuti per le persone con disabilità, per i soggetti deboli e per le periferie. 

Ai siciliani ricordo che tuitto questo non si ottiene senza qualche sacrificio e senza la loro diretta ed entusiastica partecipazione.