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Dal mar di Sicilia, a poche miglia da Gela, ogni anno passano circa 50 mila navi,  quasi 140 al giorno, con il loro enorme carico di merci, che dopo aver attraversato il canale di Suez, lo percorrono, superano Gibilterra e si dirigono verso Amburgo o altri porti dell’Europa del Nord. 

Una simile rotta li obbliga ad allungare di circa 9 giorni la durata della loro navigazione, con enormi costi finanziari ed ambientali, dovuti all’immissione nell’atmosfera di miglia di tonnellate di ossido di carbonio. 

Se ci fosse il ponte sullo stretto queste navi si fermerebbero in Sicilia da dove potrebbe partire il ciclo economico di trasformazione o di commercio delle merci e soprattutto delle materie prime. 

Il ponte non serve solo ad attraversare rapidamente lo stretto, come sostengono alcuni pretestuosi ignoranti, ma anche a cancellare la nostra disoccupazione, migliorando conseguentemente la qualità della vita, ma contribuendo a migliorare anche quella di tutte le regioni del Sud e dell’intero bacino del Mediterraneo, che finalmente potrebbe fare sistema e crescere armonicamente.

Il ponte costituisce l’anello mancante all’unificazione geoeconomica dell’Europa, ma anche a far diventare la nostra Regione il centro di svariati interessi non solo legati al mondo dell’agricoltura, della produzione manifatturiera, della logistica e del commercio, ma anche dell’istruzione universitaria, della sanità e persino della pace.

Sì, proprio della pace, poiché far progredire le regioni più disagiate del sud Italia e del nord Africa, significa allontanare lo spettro dell’instabilità in una zona del mondo che ci è particolarmente vicina ed i cui destini non possono lasciarci indifferenti.