Non intendo certo difendere i fannulloni, che vanno perseguiti uno per uno, ma evitando generalizzazioni che colpiscono anche chi fa il proprio dovere e non le merita, non si può negare che vi sia più di qualcosa che non funziona. 

La macchina amministrativa regionale fa acqua da tutte le parti, purtroppo, ma la responsabilità è sempre e solo politica, una politica per la quale, non sapendo che rotta intraprendere, nessun vento è buono. 

Circa 6.000 dipendenti su 13.000 della Regione siciliana (Beni culturali, Geni civili, Motorizzazioni, etc.)  svolgono funzioni che altrove paga lo Stato in via diretta o attraverso enti vari. 

Prima di parlare dei dipendenti regionali e del lavoro che svolgono o che non svogliono, sarebbe il caso che si riflettesse su una situazione davvero disastrosa, dal punto di vista organizzativo, e sulla responsabilità dei dirigenti a cui è stato recentemente rinnovato il contratto.

La condizione di disagio che abbiamo vissuto e che ancora stiamo vivendo a causa del Corona virus sta mettendo a dura prova la tenuta del nostro sistema ed ha messo a nudo le varie lacune a cui si faceva prima riferimento. 

Ovunque si registrano lamentele ed episodi di protesta, fortunatamente civili, che costituiscono l’effetto di provvedimenti i quali, pur mirando a contenere il contagio, presentano alcune incongruenze sul piano organizzativo. 

Dietro ogni problema irrisolto, dietro ogni ritardo, sono in agguato speculazioni, licenziamenti, chiusure di attività, drammi familiari. 

Si tratta di questioni che potrebbero essere evitate se a predisporre i vari atti non fossero degli incompetenti, ma persone davvero capaci a risolvere i vari problemi. In questi casi, teoria e pratica sono profondamente diverse e la responsabilità è soprattutto politica.

Nel mare della crisi non siamo tutti sulla stessa barca

Lo avevo già detto qualche giorno addietro: non siamo tutti sulla stessa barca, c’è chi si trova su un transatlantico e chi su un gommone: galleggiano entrambi, ma non sono la stessa cosa. 

Lo confermano ancora una volta i dati della CGIA di Mestre secondo la quale il Covid,  per il 2020, ha provocato un crollo occupazionale davvero grave. Quello siciliano, in quanto a consistenza, è stato il quarto d’Italia, con circa 39.000 addetti, pari al 2,9% espulsi dai sistemi produttivi. 

Peggio ci sono soltanto Calabria, Campania e Valle D’Aosta, che tuttavia né risentirà un po’ meno poiché ha un numero di abitanti pari ad 1/3 della città di Catania ed un numero di dipendenti pubblici molto alto.

Fortunatamente, nonostante i “capricci” dei no vax, l’ampia copertura vaccinale che è stata garantita negli ultimi dodici mesi ha permesso una significativa ripresa, che tuttavia, almeno nelle regioni più deboli, come la Sicilia, non basta.    

Ieri, conversando con un imprenditore catanese è emersa la necessità di sostenere il mercato del lavoro e l’impresa attraverso una serie di misure rivolte a favorire l’occupazione. 

Tra queste ce ne sono due di cui si parla sempre pochissimo: la formazione (apprendistato) in azienda e l’aggiornamento professionale permanente. 

La prima, elevando il grado di competenza dell’interessato, facilita l’inserimento lavorativo, la seconda permette di non perdere il lavoro. 

Ad entrambe le forme di istruzione oggi, di fatto, provvede l’imprenditore a proprie spese, ma se ci pensasse lo Stato, con risorse adeguate, forse sarebbe meglio, poiché incentiverebbe le assunzioni e sconsiglierebbe i licenziamenti.