Alcuni anni addietro, intervenendo ad un congresso regionale dell’ Associazione Siciliana della Stampa, espressi ironicamente la mia  solidarietà ai cronisti di giudiziaria, che consideravo veri e propri prigionieri delle loro vere fonti: i magistrati. 

Quell’affermazione non fu molto apprezzata da alcuni colleghi bacchettoni della sinistra giornalistica, che non mancarono di polemizzare. 

Adesso la stessa cosa la dicono magistrati illustri, come Carlo Nordio o chiacchieratissimi, come Luca Palamara, che addirittura, sull’argomento, ci ha scritto un libro di grande successo. 

Chi tace, invece, sono i colleghi, che forse aspettano una velina, o magari sperano in una qualche autorizzazione da parte delle loro autorevoli fonti di cui sono consensualmente prigionieri, anche se lo negherebbero anche se fossero messi sotto tortura.

La teoria delle “casematte”, ovvero il cervello della società, di Gramsciana memoria, delle quali tali colleghi sono espressione, prevedeva la conquista dell’egemonia culturale non solo attendendo il consenso popolare, ma anche attraverso il presidio di ciò che ne delinea la formazione: la scuola, le case editrici, le redazioni dei giornali, la magistratura, l’organizzazione della cultura e dei suoi eventi.

È esattamente ciò che è avvenuto anche grazie al sindacato dei giornalisti ed ai fallimenti di alcune importanti testate della sinistra, che hanno scaricato il loro carico di personale in tutti i giornali, anche in quelli che esprimono posizioni diverse, della Rai e delle altre emittenti radiotelevisive. 

Nell’Università, nella scuola e nella magistratura le dinamiche sono state diverse, i protagonisti sono stati i “baroni rossi” e le “toghe rosse”, ma il risultato è stato lo stesso, vale a dire la conquista della relativa casamatta.