di Vito  Pirrone

Non è  un buon momento per la giustizia italiana.  Ormai  assistiamo costantemente  allo svolgimento  di indagini penali e alla  celebrazione di processi penali  non più  nelle  sedi giudiziarie  ma negli studi  televisivi.Il  processo penale è sotto assedio dei media.La presunzione  di innocenza  è soffocata  dal  protagonismo e da una  cultura   che ha  smarrito  il  senso del dubbio   (manca la cultura  della innocenza, la cultura del dubbio). Tutto ciò ha fatto  smarrire il senso di umanità.La  segretezza  delle indagini  prevista  anche nell’art. 18  del codice deontologico degli avvocati non sempre viene rispettata, e spesso  la comunicazione diventa autopromozione.Il caso  di Sarah  Scazzi (26 agosto 2015) ha  riscritto  i confini  tra cronaca  e spettacolo, lasciando  in una sceneggiatura  che sembra non finire  mai.Così come il caso Meredit (2 novembre 2007) rappresenta  la storia di un  processo  inquinato  dal frastuono  dei salotti Tv,  che (come ha affermato la Corte di Cassazione) ha condotto a probabili errori investigativi  e un dibattimento  travolto dalla pressione dell’opinione pubblica.  La Corte di Cassazione scriveva in sentenza che “ il clamore  mediatico  non ha certamente  giovato alla ricerca della verità”.In vero dal delitto di Cogne, al caso di Garlasco, Avetrana,  Novi Ligure,  Perugia, , rappresentano  la cronaca  di una deriva   che sembra inarrestabile. ( ! )Con Cogne,   per  la prima volta  una trasmissione televisiva conduce  indagine giudiziarie, esibendo  il plastico della  villetta.  Segno di un punto di svolta nel rapporto  tra giustizia e media.

Lo studio televisivo si presenta come Corte parallela, il processo mediatico che si   sovrappone a quello giudiziario.La giustizia è diventata spettacolo !Sorgono  dubbi etici  su questa  forma di spettacolarizzazione  della giustizia,   che certamente  non può definirsi  di giornalismo investigativo.Il flusso mediatico  altera  il  rapporto  tra accusa e difesa. Il giornalismo deve raccontare delle indagini, o dei processi, senza spettacolarizzare, senza influenzare, dando spazio al  dubbio.Ed è erroneo appellarsi all’art. 21 della Costituzione che prevede  il diritto  all’informazione. La notizia deve essere canalizzata tenendo conto dei principi etici, deontologici e il senso di umanità nei confronti dei soggetti coinvolti  (indagati, persone offese e familiari).Diceva Manzoni  “il buon senso c’era ; ma se ne stava nascosto , per paura del senso comune”.La norma processuale penale  all’art. 329 c.p.p. prevede il segreto delle indagini: Tale  principio  impone la riservatezza  sugli atti compiuti  durante  la fase  delle indagini  penali. Lo   scopo  è di tutelare   il corretto  svolgimento  delle indagini , impedendo interferenze esterne.Sicchè  gli atti  di indagini  compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria, così come le indagini peritali e gli accertamenti scientifici sono coperti dal segreto  fino   alla chiusura delle indagini.Il segreto investigativo è fondamentale  per garantire  la correttezza e l’efficacia delle  indagini penaliMentre il circo mediatico  alimenta  la spettacolarizzazione dei casi giudiziari  e rischia di compromettere  questo equilibrio.E’evidente che il circo mediatico, lungi dall’assolvere il diritto all’informazione, abbia  una  concreta  influenza  condizionando l’esito delle indagini e del processo.