di Vito Pirrone

I paradossi della giustizia italiana.
Assistiamo da mesi al circo mediatico sul processo dell’uccisione della povera Chiara Poggi.
Nei vari canali televisivi si consumano dibattiti su aspetti giudiziari, fattuali e investigativi, con un carosello mediatico giudiziario senza regole, ove tutti sono esperti e portatori di verità.
La triste realtà, dopo ben diciotto anni dai fatti, è che c’è , allo stato, un condannato, Alberto Stasi, da dieci anni in carcere in espiazione della pena definitiva inflitta, mentre si svolgono nuove indagini per piste investigative alternative.
In Italia si è creata una sfiducia verso il sistema giustizia ed il processo mediatico oscura quello giudiziario.
Invero, oggi Alberto Stasi, assolto due volte, non sarebbe stato condannato e sarebbe un libero cittadino.
Ci si riferisce alla c.d.”doppia conforme”, allorché un imputato viene assolto nei primi due gradi di giudizio ( tribunale e corte di appello).
Oggi non è più possibile che il procuratore generale dopo il giudizio di appello, con la doppia assoluzione, proponga ricorso per cassazione.
Nello stesso periodo in cui fu emessa la sentenza di condanna nei confronti di Stasi, le sezioni unite della corte di cassazione avevano precisato che la conferma dell’assoluzione nei due giudizi di merito rafforza “la presunzione di non colpevolezza rafforzando l’esistenza del ragionevole dubbio”.
Detta giurisprudenza è stata recepita in una riforma normativa ed oggi, in caso di doppia assoluzione, cioè quando la sentenza di appello conferma la decisione assolutoria del tribunale, il procuratore generale può ricorrere in cassazione solo per violazione di legge. Non è consentito alla pubblica accusa entrare nel merito delle motivazioni della sentenza, muovendo censure fattuali alla stessa.
La condanna a sedici anni di Stasi è stata preceduta da una assoluzione piena in primo grado, confermata in appello (c.d. doppia conforme) ed il procuratore generale ha proposto ricorso per cassazione chiedendo la riforma, censurando il costrutto fattuale assolutorio.
La legge successiva ha modificato la normativa del c.p.p., limitando il ricorso per cassazione ai soli casi di violazione di legge.
Lo spirito della riforma è quello “di valorizzare la presunzione di innocenza e del limite del ragionevole dubbio”.
La presunzione di non colpevolezza viene “ stabilizzata dall’esito assolutorio di due gradi di giudizio di merito con approfondimento di aspetti ed elementi di fatto non rivisitabile ne riesaminabili in un giudizio di legittimità sotto il profilo delle incongruenze motivazionali” .
Attualmente assistiamo ad una dolorosa vicenda giudiziaria che diventa una quasi soap opera di provincia, stimolando maliziose pruderie.
Il nostro codice prevede che, per condannare, la responsabilità dell’imputato deve essere provata oltre ogni ragionevole dubbio. Il giudizio dubitativo non può condurre ad una condanna, bensì ad una assoluzione. Il ragionevole dubbio è una regola di garanzia e di civiltà giuridica del nostro sistema penale.
Il buon senso e l’etica impongono di staccarsi dalla mischia, evitando giudizi anticipati di colpevolezza, o talvolta di innocenza.
Sul banco degli imputati dovremmo collocare il vero imputato, un sistema giustizia, allo stato, che crea mostri e disagio nei cittadini.
L’attuale situazione della giustizia ci riporta al dibattito tra Manzoni e Verri, con il processo agli untori narrato nella storia della colonna infame, la colpa è della legge o di coloro che sono chiamati ad interpretarla.