Un giorno, a bordo di una nave ancorata al porto di Catania, salì un grande ammiraglio livornese, che in passato si era contraddistinto per il suo coraggio e la sua competenza nella navigazione attraverso i mari di tutto il mondo.
In quella occasione gli ufficiali si premurarono di impartire gli ordini al personale di bordo affinché la nave fosse perfettamente pulita e in ordine, così da dimostrare che ogni cosa stesse andando per il meglio.
Tuttavia, a causa del poco tempo a disposizione, non tutti i ponti erano in perfette condizioni. In uno, in particolare, un mozzo stava ancora completando le pulizie e, vedendo avvicinarsi l’ammiraglio, lo invitò a spostarsi, per non correre il rischio di sporcarsi, con questa frase: ccillenza, mi si canzia ca si schifia!
Manco a dirlo l’ammiraglio, non riuscendo a capire cosa il mozzo gli volesse dire, si rivolse ad uno degli ufficiali per chiedere spiegazioni.
Quest’ultimo, a sua volta, si rivolse ad un altro mozzo che così tradusse le parole del collega: nienti ccillenza, u’ me’ collega ci dissi mi s’arrassa ca s’allorda.
Anche questa volta l’ammiraglio non comprese e fu allora che intervenne il comandante, che era di Catania e, con tono perentorio tradusse finalmente le parole del mozzo con questa frase: ammiraglio, perdoni questi due bifolchi, volevano dirle soltanto che se non si sposta s’ingrascia tuttu paru!
La Sicilia non è un’isola, è un continente che rappresenta la sintesi di svariate dominazioni e di altrettante culture: l’esempio appena fatto lo conferma.
Per esempio, per i siciliani il linguaggio non è solo uno strumento di comunicazione, come potrebbe essere per qualunque altro popolo, è anche un modo per proteggersi, un modo per nascondersi, un modo per confondere gli interlocutori, come dimostra u’ baccagghiu, un linguaggio particolarmente diffuso, anche adesso, negli ambienti malavitosi, proprio per impedire di essere compresi da chi potrebbe costituire un pericolo per certi affari loschi.
Un altro termine molto usato, ma dai significati vari, è babbu, che non è la versione siciliana di babbo, nel senso di papà, ma come vedremo è molto altro, salvo che nel caso di Babbu Natali.
Babbu, di solito, vuol dire stupido, credulone, poco intelligente, tuttavia può significare cose diverse a seconda delle circostanze.
Proveremo a spiegarlo meglio ad uso del solito carabiniere di Belluno o di Pordenone, chiamato al difficilissimo compito di sbobinare una conversazione telefonica tra due siciliani.
Babbu, infatti può avere il significato traslato dell’organo sessuale femminile, come nel caso di babbu di to’ soru o di to’ nanna, può avere il significato neonatologico, come nel caso di babbu di l’ovu, nell’accezione di stupido dalla nascita, oppure babbazzu, nel senso di stupidone, ecc.
Ma ci possono pure essere significati geografici: a pruvincia babba, con chiaro riferimento a territori non particolarmente svegli, o babbu da Motta, il cui significato, senza offesa per nessuno, riguarda i cittadini di quel determinato comune vicino Catania.
Insomma, lo abbiamo già detto, la Sicilia è un continente e proprio per questo vi si parlano tante lingue, non tutte note. Se ci volete abitare imparate a conoscerle, vi assicuro che è davvero divertente: pezzi di babbasunazzi ca non siti autru!