In altre occasioni ci siamo soffermati a ricordare quali siano, a Catania ed in Sicilia in genere, i modi più ricorrenti per rivolgere un insulto a chi, a nostro avviso, lo meriti, per chissà quale ragione scatenante.
L’insulto non è mai generico e sceglierlo rappresenta quasi un’arte che bisogna ben conoscere, o si rischia di non essere compresi.
Quelli più frequenti sono cunnutu, cunnutu e sbirru, disgraziatu e cunnutu, strunzu, gran pezzu di merda, gran figghiu di…con il seguito che varia in base al livello di volgarità che si intende raggiungere, dunque alla intensità dell’offesa che il mittente desidera attribuire al suo destinatario.
Quelle appena citate sono le offese più semplici, ma ce ne sono di più complesse alle quali hanno fatto ricorso persino gli autori letterari più conosciuti ed apprezzati.
Penso, ad esempio, alla commedia “L’aria del continente”, del grande Nino Martoglio, ed all’articolato insulto che Milla Milord rivolge al protagonista, don Nicolino Duscio, il suo attempato fidanzato, che ne ha scoperto la vera identità, in realtà piuttosto discutibile.
Vecchiu stranchillatu e puddicinedda co’ giummu, dice la donna, lasciando l’abitazione nella quale conviveva con il povero e illuso fidanzato, il quale pensava che lei fosse una nobildonna settentrionale.
Quello scelto da Martoglio è uno degli insulti più coloriti della letteratura teatrale catanese, tant’è che chiunque lo ricorda e magari lo adopera quando intende rivolgersi a qualcuno un po’ malmesso, sia nel corpo sia nella mente.
A Palermo, ad esempio, quando ci si riferisce ad una persona con un pizzico di demenza, caratteriale o patologica, la si apostrofa dicendole che è stolita, ovvero affetta da stulitanza.
In questo caso, ogni qualvolta si esprime in maniera scomposta o discutibile, si dice che stulitia e lo si invita a smettere di stulitiari.
La parola è probabile che derivi dal termine stolto, che letteralmente significa persona con una ridotta capacità mentale ed intellettuale, dunque con una grossolana ingenuità o che dimostra una certa mancanza di senso pratico.
In siciliano, e segnatamente in palermitano, però, il termine si arricchisce di ulteriori significati: sciocco, indisponente, presuntuoso, idiota, cretino, ecc.
Iù l’haia rittu sempri, u’ sicilianu non è facili; u’ sicilianu è ‘na lingua completa, però avi ‘n difettu, ci manca u’ futuru sia ‘nta grammatica sia ‘nta vita. Si avissuma avutu u’ futuru cu sapi unni avissuma arrivatu. E inveci semu ca, a tri uri e tri quarti.
Oltre a quella citata da Martoglio, a Catania e non solo, c’è un’altra frase ingiuriosa che viene adoperata spesso e che merita di essere citata.
Quando si dice che una tal persona è ‘na bedda pumata p’e caddi, infatti, non si vuole intendere che si tratta di un tipo tanto buono da essere paragonato ad un unguento capace di alleviare il dolore provocato dai calli ai piedi, ma ben altro.
Tale ironico modo di esprimersi ha origine dal linguaggio dei numerosi venditori ambulanti che vendevano “miracolosi prodotti” per eliminare i calli, ma che alla prova dei fatti si rivelavano veri e propri imbrogli e tannu Vanna Marchi ancora non c’era…
Dunque il significato catanese da attribuire alla frase è tutt’altro che un apprezzamento, ma il modo per indicare una persona fasulla.
C’è poi cu metti cavigghi e cu metti puttusa, cioè chi cerca di aggiustare e chi cerca di guastare. Una definizione che viene rivolta a chi, invece di provare a sistemare una situazione, si adopera per mettere zizzania.
Se volessimo applicare questa frase alla politica dei giorni nostri, potremmo dire tranquillamente che simili persone, o simili forze politiche, molto presenti a tutti i livelli ed in tuti gli schieramenti, sono quelle che, invece di provare a risolvere un problema, preferiscono gestirne gli effetti, traendone un qualche beneficio proprio e non certo generale.
Lassatimi stari! Non mi faciti diri chiù nenti, picchì non pozzu parrari. Oggi i cavigghiari e i puttusari sunu unni è ghiè, anzi tutta l’Italia addivintau ‘na fabbrica di cavigghi e di puttusa, picchì ognunu c’arriva ci ni metti qualcuna. E cu’ chissu vi salutu e mi staiu mutu! Bih chi bella rima ca mi vinni!
