La domanda che si ponevano alcuni illustri commentatori politici ed alcuni opinionisti l’altra sera, in una delle varie reti televisive, riguardava il diritto di poter usare il bagno riservato alle donne da parte di persone transgender e se la mancanza di una tale possibilità fosse o meno da considerarsi come una delle tante manifestazioni omofobe presenti non solo nel nostro paese e non solo a causa dei bagni. Confesso che mi sembra una delle tante speculazioni dialettiche (definirle culturali mi sembrerebbe un’esagerazione) utili a riempire i palinsesti e a distrarre l’opinione pubblica dal cuore del problema, non perché la questione non esista, anzi, ma perché si confonde una questione di natura tecnico/igienica, con una di natura ideologico/intellettuale. Parlo di problemi tecnico/igienici perché, com’è noto a tutti, sin dalla più tenera età, i maschietti e le femminucce, per via della loro differente conformazione anatomica, “la fanno” in maniera diversa: in piedi i primi, schizzando spesso di qua e di là, dunque sporcando anche senza volerlo; stando compostamente sedute le seconde, in maniera palesemente più igienica, soprattutto se la raccolta avviene in un Water a tazza, invece che in un semplice orinatoio verticale. Non desidero soffermarmi oltre nella spiegazione, perché credo che il senso delle mie parole sia fin troppo chiaro. Dunque, non parlerei affatto di discriminazione di natura sessuale, i gabinetti non sono omofobi, ma di oggettiva differente condizione anatomica: chi, pur sentendosi legittimamente donna, dispone ancora di organi maschili è opportuno che non schizzi come fanno i maschi, laddove devono sedersi anche le donne, ovvero i transgender che hanno già provveduto a trasformarsi; mentre chi ha già adeguato il corpo al proprio sentimento di genere non vedo perché dovrebbe essere obbligato a servirsi degli orinatoi verticali, che nel loro caso apparirebbero particolarmente scomodi. A parte l’inoffensiva l’ironia, credo che sia finalmente venuto il momento di uscire dagli schemi tradizionali, che sono saltati da un pezzo, per collocarsi all’interno di un modello in cui le discriminazioni/differenze di genere, colore della pelle, religione, ecc. lascino definitivamente il posto all’universalità della persona umana, esattamente come recitano gli articoli 1 e 2 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (che certamente non è inteso come maschio, ma come genere umano) “Articolo 1) Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza. Articolo 2) Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del paese o del territorio cui una persona appartiene, sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità”. Nessun documento è stato chiaro quanto questo. Intendo dire che forse sarebbe meglio cominciare a pensare come persone, non come generi, colori, gusti, ideologie, ecc.