Il coronavirus rischia di distruggere irreversibilmente la nostra già disagiata economia. Oltre che prevedere misure riguardanti gli aspetti sanitari, è urgente che vengano predisposti interventi per il sostegno finanziario alle imprese dei vari settori: agricoltura, industria, commercio, artigianato, ma anche per i lavoratori che rischiano l’occupazione e per gli studenti, che hanno perso preziose ore di studio. 

Non sarebbe male, ad esempio, se almeno il servizio pubblico, che paghiamo profumatamente, utilizzasse qualcuno dei suoi canali per sostenere la ripresa economica, attraverso programmi miranti a far conoscere opportunità imprenditoriali alternative e procedure semplificate per uscire dalla crisi.

A tal proposito, il fragilissimo sistema produttivo siciliano, quello che rischia di essere definitivamente travolto, nell’imbarazzante balbettio dei governi nazionale e regionale, avrebbe bisogno di specifiche misure di aiuto rivolte alla riconversione.

Purtroppo, però, i parlamentari nostrani non parlano più, i partiti litigano, la stampa polemizza e tutti gli interlocutori istituzionali sono stati improvvisamente colti da manifesta inettitudine e grave disabilità sensoriale ed intellettuale. Nessuno di loro, infatti, mostra di ben capire quale sia la direzione da intraprendere. 

Non capiscono, non sentono e non vedono ciò che accade a tutti coloro i quali vivono di libere attività e non di stipendio o di pensione. Sanno dire ossessivamente ciò che non bisogna fare, ma non ciò che si deve fare, e soprattutto ciò che devono fare loro. 

A causa del coronavirus, le consultazioni amministrative e referendarie, già previste per la prossima estate, saranno rinviate e non si capisce bene a quando. Prima o poi, si voterà in diversi comuni della Sicilia. Molti cittadini, anche in questo difficile periodo, hanno potuto sperimentare direttamente quanto sia pericoloso trascurare la politica o affidarla a personaggi ignoranti o corrotti: farebbero bene a ricordarlo. 

Se non bastassero le desolanti esperienze passate, infatti, si tratterebbe di avere un motivo in più per impegnarsi direttamente, perché questo è l’unico modo per tentare di migliorare la situazione, sottraendola al vuoto pneumatico di oggi. 

Non è vero che non cambia mai nulla e che sono tutti uguali. È vero il contrario: tutto può cambiare, se noi lo vogliamo davvero. Le cose non mutano solo se nessuno le fa mutare. L’alternativa è: continuare a subire ciò che si vorrebbe combattere o provare a partecipare per cambiare. Il disinteresse, spesso figlio di banale vigliaccheria, è alleato del mugugno, che forse può essere comodo, ma è del tutto inefficace.

Per cambiare scenario, ma per confermare l’inadeguatezza delle scelte compiute dal governo, non era difficile prevedere ciò che sarebbe accaduto nelle carceri, con le violente rivolte provocate anche dalle restrizioni necessarie a contrastare il diffondersi del coronavirus. 

I reclusi avrebbero compreso, e meglio sopportato, il blocco dei colloqui, indispensabile per tutelare loro stessi, i rispettivi familiari e gli agenti, se si fossero contestualmente incrementate le telefonate, che vengono abitualmente concesse, e se si fossero parzialmente svuotate le celle, vergognosamente stracolme da sempre, mandando agli arresti domiciliari non i mafiosi ma coloro i quali avevano residui di pena molto bassi. 

Tra i reclusi, poi, ci sono quelli che hanno approfittato dei tafferugli per drogarsi, per fuggire e per compiere qualche vendetta personale, ma si tratta di tutta un’altra storia, legata alla carenza di personale e ad un’organizzazione che non ha ben chiare le previsioni costituzionali!

E adesso parliamo  di risorse, di investimenti e di bilanci. Il 50% delle scuole del Sud sono prive dei requisiti previsti dalla legge e non hanno ricevuto il collaudo: avviare i lavori di adeguamento darebbe ossigeno all’edilizia e all’occupazione. 

Nelle scuole del Sud il rapporto insegnanti alunni è di 1 ogni 20, al Nord è di 1 ogni 10, livellarlo sarebbe un modo per rispettare l’unità reale del Paese, dato che gli investimenti infrastrutturali e sociali che vengono effettuati al Sud ammontano appena allo 0,15% del PIL. 

I provvedimenti che si stanno mettendo a punto, anche per far fronte ai danni arrecati dal coronavirus, riguardano soprattutto aziende con un numero di dipendenti superiori a 5, mentre è noto che la media del Sud è molto più bassa. A Roma, in gran segreto, stanno tentando di impossessarsi anche di quel poco che resta: solo una forte e consapevole mobilitazione  popolare può correggere la rotta. 

Va bene, oggi c’è l’emergenza coronavirus ma, non appena la situazione si sarà normalizzata, bisognerà fare bene i conti e chiedere quanto dovuto o saranno guai per tutti. Qualcuno dovrà avere cura di spiegare come mai, ad esempio, per opere pubbliche, nel 2018, sono stati spesi solo 102 euro pro capite al Sud e ben 278 euro pro capite al Nord. Il sistema dei costi standard e della spesa storica rappresenta la trappola attraverso la quale il Nord sottrae al Sud circa 61 miliardi l’anno. Forse è il caso di finirla!