Se non ci fossero i problemi nessuno cercherebbe le soluzioni! Può apparire una banale ovvietà, ma potrebbe non esserla se un intero sistema fosse fondato sulla perversa ipotesi che ne deriva e cioè: per stimolare la ricerca di soluzioni bisogna creare i problemi anche quando non esistono!  

Non ricordo in quale film degli anni settanta, il protagonista doveva fare i conti con una sorta di “ufficio complicazione pratiche semplici” che si frapponeva sempre tra lui e il benessere. Nei fatti, magari non sarà esattamente come descritto dalla cinematografia, ma non vi siamo neanche molto lontani!

Infatti, il nostro Paese, a ben guardarlo, anzi, a ben viverlo, costituisce l’esempio plastico di un’organizzazione in cui chi governa l’apparato non cerca di ridurre il numero di problemi, cerca invece di aumentare il numero di soluzioni da ideare e gestire, in modo che non risolvano affatto il problema ma lo trasformino in risorsa e, soprattutto, sfumino i livelli di responsabilità.

Capisco che tutto questo potrebbe apparire un gioco di parole o l’effetto paradossale di un eccesso di depressione ma, a pensarci bene, non lo è affatto e per rendersene conto basta guardarsi intorno. 

Gli esempi sono tanti: proverò a estrapolarne qualcuno tra quelli che, più degli altri, ci provocano costi e disagi. 

Se la Pubblica amministrazione, invece di rappresentare quella sorta di “leviatano” che è oggi diventata, fosse semplice, trasparente, efficiente, responsabile, pensate che i patronati, con tutto il rispetto per chi vi lavora, prospererebbero ad ogni angolo di strada?

Se il sistema fiscale non fosse quel guazzabuglio di codicilli che è, pensate che i Caf, senza nulla togliere a chi li ha aperti, si moltiplicherebbero come i conigli nella stagione degli accoppiamenti?

E che dire dello scempio del diritto costituito da Equitalia e dagli altri organismi simili, che strano contribuendo a distruggere la già fragile economia italiana?

Se le amministrazioni comunali si dotassero di efficienti Uffici Relazioni con il Pubblico, pensate che sorgerebbero tante agenzie di disbrigo pratiche e “codisti”, pronti ad attendere il turno, al posto vostro, dietro qualsiasi sportello?

Se gli ambulatori pubblici fossero in grado di eseguire una Tac o una mammografia in tempi adeguatamente brevi, pensate che una certa sanità privata prospererebbe, talvolta ai limiti della legalità, nei modi che noi tutti conosciamo?

Se il confronto tra servizi pubblici e servizi privati avvenisse attraverso il ricorso a forme di competizione lecite e disciplinate, tutto sarebbe più chiaro, tutto rientrerebbe nei canoni della leale concorrenza ma, se uno dei contendenti viene artatamente legato ai blocchi di partenza, la gara risulta impari.

Un ultimo esempio: se i servizi sociali e la scuola facessero fino il fondo il loro dovere e fossero dotati di risorse idonee, pensate che le carceri sarebbero piene come un uovo senza riuscire ad elevare la sicurezza della nostra società? 

Ecco, come vedete: passare dal nebuloso esempio teorico a quello frutto della pratica quotidiana non è affatto difficile. In questo modo l’oscuro teorema enunciato appare molto più chiaro: il sistema organizzativo del nostro apparato pubblico genera problemi per poter costruire soluzioni.

Insomma: i nostri disservizi, che producono costi ai danni del bilancio dello Stato, dunque di noi contribuenti, determinano anche economia e persino consenso, come è facile notare ogni volta che il titolare di un patronato, di un Caf o di una clinica privata si presenta alle elezioni. 

Mi torna in mente il film a cui facevo prima riferimento, in cui tutta la Pubblica amministrazione e ciò che vi è collegato diventava progressivamente un grande Ufficio Complicazione Pratiche Semplici, con tanto di capufficio e di impiegati: nati per risolvere, ma dediti a ingarbugliare a danno di uomini e imprese. 

Sarà un caso? È mai possibile che i rappresentanti dei cittadini in Parlamento talvolta lavorino contro i cittadini di stessi? No! Certamente no! Dunque: meno male che ci sono i patronati, i Caf, le agenzie di disbrigo pratiche e le case di cura private, o al danno si sommerebbe la beffa!

Non so perché, ma mi torna in mente Filippo Turati il quale, forse ingenuamente, sosteneva che “le ferrovie non servono per i ferrovieri ma per i passeggeri”. 

Chissà come sarebbe stato male nella società di oggi!