Ci sono persone che pensano che a scacchi si vinca alla prima mossa, quindi non si preoccupano di analizzare la partita né di predisporre una strategia adeguata all’avversario. 

La stessa cosa accade quando si parla di contrasto al crimine: molti ritengono che, per ottenere dei risultati adeguati, sia sufficiente inasprire le pene previste; alcuni pensano persino alla reintroduzione della pena capitale!

Periodicamente, l’argomento ritorna di attualità e suscita agguerriti dibattiti, che passano, di volta in volta, dalla disarmante superficialità alla roboante retorica, attraversando tutti i più noti e ricorrenti luoghi comuni del populismo trash!

In queste condizioni, L a domanda è: l’inasprimento della pena o il suo allungamento, soprattutto per certi efferati delitti, costituisce un efficace deterrente, ne riduce il numero, contribuisce ad aumentare la sicurezza della nostra società o no?

Molti ritengono che la risposta sia affermativa e si sforzano di proporre iniziative volte ad aumentare gli anni di pena detentiva, previsti per questo o per quel reato o le modalità di espiazione della reclusione.

Altri, ed io tra questi, ritengono che, se uno sforzo debba essere fatto, e certamente va fatto, senza alcun indugio, esso dovrebbe riguardare soprattutto una profonda e generale educazione alla legalità! 

No, non intendo affatto sostenere che la pena, di per sé, non costituisca un deterrente, intuendo dire che alla pena si pensa dopo che è stato commesso il delitto, quando si è stati scoperti, non prima, altrimenti sarebbe tutto più facile.

Nel momento in cui un delinquente commette un crimine, egli non pensa mai di dover pagare: pensa di farla franca! Se pensasse alla pena da scontare, basterebbe prevederne di alte per qualsiasi episodio criminale o di illegalità, ma non ci pensa: pensa di non essere beccato!  

Magari il delinquente pensasse al dopo! Purtroppo, la storia e la statistica ci ricordano che il problema è assai più complesso, come dimostra, ad esempio, l’alto numero di delitti  che si verificano nei Paesi in cui vige la pena di morte e i lavori forzati.

Pensate che un rapinatore, quando entra, armi in pugno, in una banca, si preoccupi del carcere che potrebbe scontare? No, niente affatto! Egli si preoccupa di come investire il bottino!

Pensate che un marito che uccide la moglie, sorpresa con l’amante, pensi all’ergastolo? No! Pensa a vendicarsi, sanando così quello che egli percepisce come un torto, a cui provvedere direttamente e non, ad esempio, chiedendo il divorzio per colpa!

La via dell’allungamento o dell’inasprimento della pena è solo quella apparentemente più breve, in realtà è solo quella che cattura la voglia di giustizia vendicativa della gente che, sul momento, non pensa affatto che c’è un prima, un durante e un dopo pena: vuole rinchiudere il colpevole e basta!

Il crimine non può essere combattuto solo dietro le sbarre, posto che lì, tenuto conto delle pessime condizioni delle nostre carceri, lo si combatta veramente.

Il crimine va combattuto, soprattutto, nella società nella quale si è formato e che pertanto ne è inconsapevole complice, dato che non si è accorta in tempo che qualcuno stava per sbagliare o non ha fatto nulla per educarlo in tempo alla legalità.

Insomma, non basta, e forse neanche serve, inasprire la pena o allungarla, è necessario, invece, prevenire il delitto, facendo di tutto per intercettarlo là, dove la mentalità criminale va formandosi!

Il delitto compiuto, così come quello non compiuto, è dentro di noi, solo l’educazione al reciproco rispetto e alla legalità possono concretizzarlo o impedirlo.

Di fronte agli esecutori di un crimine non basta urlare che “bisogna sbatterli dentro e gettare la chiave”, con ciò sentendosi estranei a qualsiasi concorso di colpa, bisogna programmare costanti e profonde azioni preventive nelle famiglie, quando ci sono, nelle scuole, nei posti di lavoro, quando c’è, insomma, nella società tutta.

Senza questo genere di interventi, pensare a qualche anno in più di carcere, da scontare o da non scontare in isolamento o in comunità, serve solo a sedare le folle e magari rinviare colpevolmente la soluzione vera del problema.

Il bravo scacchista non urla, il bravo scacchista programma la partita con metodo e intelligenza, prevedendo con cura le varie mosse che saranno compiute dall’avversario. Il bravo scacchista non vince alla prima mossa, vince all’ultima!