Ho la netta sensazione che, alle prossime elezioni regionali, la Sicilia tornerà ad essere il laboratorio politico che è stata in passato. 

All’ARS ed a Palazzo d’Orleans si passerà dal bipolarismo di un tempo, non al “tripolarismo”, presente nel resto d’Italia, ma al “pentapolarismo” o forse sarà il luogo in cui si sperimenterà un modello politico territoriale. 

Se il buonsenso non si riapproprierà di ciò che resta della testa dei maggiorenti siciliani, ci sarà un centrodestra, un centro, un centrosinistra, una sinistra di governo, i grillini che, con questo scenario, non vinceranno più a mani basse, ma contribuiranno a creare confusione in un contesto che confuso lo è già tantissimo.

Tuttavia non è escluso che potrebbe pure accade qualcosa di diverso, com’è accaduto il Sardegna: potrebbe accadere che i cittadini abbiano voglia di riappropriarsi del loro territorio, preferendo formazioni politiche di natura territoriale e meridionalista. 

Ciò premesso, nessuno degli schieramenti ci delizia ancora con uno straccio di programma che spieghi cosa si voglia fare per i giovani, il lavoro, le piccole e medie imprese, l’agricoltura, il turismo, i diversamente abili, i pensionati, la casa, il traffico, la viabilità, i trasporti, i servizi, la burocrazia, la sanità, la cultura, la scuola, ecc. 

A farci conoscere invano il programma che intendono realizzare in caso di vittoria sono soltanto i partiti sicilianisti, ma per loro è difficile trovare spazio nell’informazione più accreditata che, forse, ha già deciso di rimanere prigioniera di un sistema che ha mortificato sempre le aspettative del Sud.