Nei mesi scorsi, tutti i giornali ed i telegiornali hanno aperto le varie edizioni con la notizia dell’assoluzione in appello degli ufficiali dei Ros Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno e dell’ex senatore Marcello Dell’Utri, che erano stati accusati di essere gli artefici della cosiddetta trattativa “Stato mafia”. 

Come accade spesso nel nostro Paese, il processo è durato diversi anni, durante i quali gli imputati sono stati coperti da ogni tipo di insulto, da ogni tipo di calunnia, da ogni tipo di sospetto, da ogni tipo di speculazione di cui nessuno li risarcirà mai. 

Per anni Mori, De Donno, Subranni e Dell’Utri si sono visti additare come complici della peggiore mafia, dei peggiori delitti, delle più assurde nefandezze, tutte accuse che si sono rivelate infondate, ma per le quali nessuno pagherà mai. 

Il punto è proprio questo. Si può distruggere la vita di un uomo, si può accusare di tradimento un servitore dello Stato e poi rimanere impuniti? 

La sentenza di Palermo ha stabilito che non ci fu trattativa, ma che ci furono, almeno per alcuni, dei “contatti”. Ma perché quando le questure di tutta Italia si servono quotidianamente di “confidenti”, quando a più livelli ci si serve di “collaboratori di giustizia”, quando si infiltrano “agenti sotto copertura” nelle cosche non si verificano “contatti”? 

E come si dovrebbe indagare senza questi “contatti”? È possibile che, improvvisamente, dal ‘94 ad oggi, tutti abbiano “dimenticato” le dinamiche investigative note a qualsiasi giornalista, a qualsiasi agente semplice di Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia Penitenziaria e persino a qualsiasi ex Pretore di periferia? 

Ovviamente una tesi del genere non è verosimile, dunque deve esserci stata una regia mirante a dimostrare che “i netturbini possono ripulire la città dalle immondizie senza sporcarsi né le mani, né la divisa”. Vi pare possibile? 

Personalmente, se vedo un netturbino lindo e pulito credo che non abbia fatto bene il suo mestiere, perché non si può rimuovere la spazzatura restandovi lontano. 

Questo, però, ovviamente, non può voler dire che sia necessario diventare a propria volta spazzatura. 

Esattamente come non fanno bene il loro mestiere quelli che, invece di raccogliere “prove provate e ben documentate”, anche toccando spazzatura, ma senza trasformarvisi, elaborano “teoremi colpevolisti”, con la squallida collaborazione di qualche giornalista da strapazzo, che prova gusto a distruggere la vita della gente, seminando invidia sociale e calunnie “per qualche copia o per qualche libro in più”. 

Il sistema giudiziario italiano ha bisogno di una profonda revisione in più campi ed a più livelli, ma non per salvare solo alcuni ufficiali dei Carabinieri e alcuni politici più o meno famosi, che magari possono permettersi dei bravi avvocati, ma per salvare la povera gente, che spesso finisce invischiata in “teoremi” che gli distruggono la vita solo perché non hanno idonei strumenti di difesa. 

La sentenza di Palermo ci spiega come il vero scandalo non sia stato l’inesistente trattativa con la mafia, ma lo strumentale processo utilizzato per distrarre l’opinione pubblica e mettere all’angolo dei servitori dello Stato. Parla Palamara, parla!