Roberta Cannavà

Sono ancora tante, troppe, le frasi, gli stereotipi e i luoghi comuni che non vogliamo più sentire.
“La festa della donna deve essere tutto l’anno”. “Adesso sì che le donne sono uguali agli uomini”. “le donne possono fare tutto quello che vogliono”
L’8 marzo si è celebrata la festa internazionale dei diritti della donna, tradizionalmente considerata la giornata per eccellenza durante la quale fare loro gli auguri, regalare un fiore.
Ma l’8 marzo di ogni anno diventa occasione per invadere ed essere invasi dalla solita ondata di retorica. Programmi televisivi, giornali non ci hanno risparmiato i molti soliti luoghi comuni.
Pur consapevoli, qualcuno di noi un po’ meno, che ciò che diciamo non è esattamente la rappresentazione della realtà delle donne, in occasione della nostra festa non ci esimiamo dal pronunciare le classiche frasi monotone, e talvolta prive di senso di realtà.

“L’Italia sta lasciando indietro le donne” non è questo, invece, un luogo comune, ma l’incipit con cui intitola i festeggiamenti un noto quotidiano economico-finanziario italiano. La condizione della donna nel mondo è ancora da attenzione e, per dirla tutta, non consente affatto tanta retorica e tanta celebrazione. Sono ancora tanti, troppi, gli episodi di violenza contro le donne e che restano nell’ombra, troppo poche le denunce prive di interventi concreti. Troppe le donne vittime di sfruttamento.
In Italia la partecipazione femminile è ancora molto bassa. Con la pandemia sembra essere addirittura peggiorata. I dati Istat ci confermano che a dicembre sono stati persi 101 mila posti di lavoro: 99 mila erano occupati da donne.


La crisi economica innescata dalla pandemia di coronavirus non ha colpito tutti allo stesso modo.
È un dato questo che segnala come la componente femminile si conferma ancora una volta la categoria più colpita. L’emergenza ha fatto aumentare il gap di genere che si amplia sempre più nel mercato del lavoro. Lasciando sempre più donne vulnerabili dal punto di vista economico.
L’emergenza generata dall’epidemia di coronavirus ha accresciuto anche il rischio di violenza facendo perdere oltre 50 anni di progressi, si è cominciato a parlare di un aumento dei casi di violenza contro le donne tra le mura domestiche a causa del maggior rischio di violenza dovuto al confinamento forzato e alle difficoltà per le vittime conviventi con il maltrattante a denunciare e rivolgersi ai servizi di supporto.
Da una analisi dei dati Istat nel periodo compreso tra marzo e giugno 2020, risulta che il numero delle chiamate è più che raddoppiato rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+119,6%), passando da 6.956 a 15.280. Si deduce che il lockdown ha incrementato vertiginosamente la posizione della donna in quanto vittima.
In un report pubblicato a febbraio sempre dall’Istat emerge che nel primo semestre del 2020 “gli assassini di donne sono stati pari al 45% del totale degli omicidi, contro il 35% dei primi sei mesi del 2019, e hanno raggiunto il 50% durante il lockdown nei mesi di marzo e aprile 2020”.
Nel 2019 le donne uccise sono state 112, l’88,3% delle quali è morta per mano di una persona conosciuta, e, continua l’Istat, in misura maggiore rispetto agli anni passati: “Il 61,3% delle donne uccise nel 2019, il 54,9% nel 2018 e il 54,7% nel 2014”.
E per concludere con un luogo comune mi piaceva ricordare quanto inutile sia per l’8 marzo andare alla ricerca del fiore più bello da regalare ad una donna se poi non si conosce il significato della parola rispetto.
“Rispetto”, dignità, che sono poi anche le parole pronunciate dal nostro Presidente Sergio Mattarella durante la celebrazione della Giornata Internazionale della Donna. La società è migliore se si rispettano le donne e a rispettarle si impara da bambini.
Con la speranza di uscire presto da questi cliché l’augurio migliore che si possa fare ad una donna è quello che non debba mai più sentirsi in pericolo, anche all’interno delle mura domestiche, discriminata, penalizzata o giudicata. Solo quando avverrà tutto questo, allora, sarà davvero festa.