Di Alice  Di Prima

La coltivazione domestica di piantine di marijuana è, ad oggi, una pratica diffusissima. È opportuno, di conseguenza, comprendere quali siano i limiti, oltre i quali, questa condotta diviene illecita, integrando la fattispecie di reato punita dall’art. 73 del Testo Unico sugli stupefacenti (D.P.R. 309/90).

La Corte di Cassazione, in tempi recenti, è tornata ad occuparsi di tale questione. Con la sentenza 12348/2020, le Sezioni Unite cercano di trovare un equilibrio nel bilanciamento tra l’ambito di tutela e l’offensività di una fattispecie declinata secondo il paradigma del reato di pericolo astratto. Viene superato l’orientamento restrittivo fino a quel momento sostenuto dalla giurisprudenza maggioritaria, secondo cui la coltivazione domestica, equiparata alla coltivazione in senso tecnico-agraria, era sempre considerata costituente reato.

La Suprema Corte afferma il seguente principio di diritto: “devono ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”.

A parere dei giudici della cassazione, il bene giuridico della salute pubblica, che la norma incriminatrice mira a tutelare, non viene pregiudicato o messo in pericolo da chi coltiva esclusivamente per sé qualche piantina, senza immetterla sul mercato; di conseguenza, tale condotta non è punibile.

Ai fini di tale valutazione saranno, quindi, rilevanti: ilnumero di piantine coltivate, due per individuo, l’inadeguata modalità di coltivazione da cui possa desumersi che la pianta non sarà mai in grado di giungere a maturazione; un contenuto di principio attivo insufficiente per poter essere oggetto di spaccio.

Bisogna, tuttavia, precisare che la condotta continua ad avere valenza di violazione amministrativa, con la conseguente applicazione della sanzione amministrativa prevista dall’art. 75 del D.P.R. 309/90, nel caso in cui “la coltivazione domestica a fini di autoconsumo produca effettivamente una sostanza stupefacente dotata di efficacia drogante“.