Gli errori che, negli anni, sono stati compiuti ai danni della Sicilia, e che spesso sono stati il frutto di un modello politico che considerava subordinate le esigenze di questa regione rispetto ad altre parti d’Italia, deve indurci a riflettere bene su quali debbano essere i cardini di un nuovo progetto di rinascita fondato sullo sviluppo e sulla crescita, sul buonsenso e sul bene comune, sulla collaborazione e sulla partecipazione, non certo sull’odio, sull’invidia, sul pressappochismo e sull’ignoranza.

Chi vuole raccogliere frutti migliori, infatti, si sforza di non tagliare le radici dell’albero che quei frutti deve dare, ma soltanto i suoi rami secchi. Chi vuole ottenere risultati politici più efficaci non ignora il passato, lo studia accuratamente ed evita di ripeterne gli errori. Chi si batte per un mondo migliore prova a capire bene la geografia, le sue caratteristiche territoriali, ambientali e culturali; così come chi vuole costruire una società di buoni cittadini studia l’educazione civica, quando gliela fanno studiare… 

Aver indebolito l’insegnamento di storia, geografia ed educazione civica, infatti, vuol dire aver commesso un errore enorme, avendo sottratto agli studenti, cittadini impegnati di domani, il senso del tempo, dello spazio e delle regole, decontestualizzandone l’esistenza e persino i comportamenti. 

Sono convinto che se l’intero Paese e la Sicilia in particolare, che degli errori commessi, soprattutto negli ultimi due secoli, è stata una delle vittime maggiori, si preoccupassero di applicare queste regole elementari, incentrando l’attività delle proprie istituzioni, scuola in testa, al sano buonsenso, qualsiasi cosa andrebbe meglio, soprattuto nei rapporti tra lo Stato, gli Enti pubblici in genere, ed i cittadini, intesi come protagonisti, non come controparte.

La sensazione che si ha, purtroppo, almeno in questa travagliata fase storica, mi porta a ritenere che l’obiettivo dell’intera attuale impreparata e claudicante classe politica, nessuno escluso, sia volto non verso il miglioramento possibile delle condizioni generali della realtà in cui viviamo, bensì verso la sostituzione di un potere con un altro potere, entrambe fini a se stessi, trascurando “dettagli” come le previsioni costituzionali, il concetto di democrazia, su sui si fonda il nostro apparato normativo, ma anche molto altro, che ha a che vedere con una società che pretende di essere civile e ben organizzata. 

Le “bizzarre proposte” che, nel tempo, hanno prodotto la riduzione del numero dei parlamentari, spacciata per riduzione dei costi (circa 70 centesimi l’anno per ciascun cittadino) insieme a quella dell’esclusione dal voto degli anziani (quali?) ed alla riduzione non dei privilegi, ma delle garanzie per chi si dovesse trovare a rappresentare il popolo, però, fanno parte di un medesimo disegno, criminale ed antidemocratico, volto a concentrare il potere, nel senso più ampio del termine, in poche fameliche mani, anzi, nelle poche mani di ricchi, preferibilmente ignoranti, o tuttalpiù furbastri, che potranno permettersi il lusso di pagarsi una campagna elettorale. 

Ma la domanda è: che fare? Non credo che la risposa sia difficile: studiare e partecipare, applicando il buonsenso nelle valutazioni, nei giudizi, nelle scelte, evitando di credere alle informazioni, spesso devianti, che esperti comunicatori di parte propinano come vere a cittadini distratti o accecati dalla rabbia. 

Ecco, la rabbia, soprattutto se abbinata all’ignoranza ed alla miseria, costituisce il più forte alleato di qualsiasi forma di autoritarismo che vede nell’uomo forte al comando la soluzione di qualsiasi problema. 

L’uomo forte, per definizione, non ha bisogno di consiglieri, non ha bisogno di un Parlamento che pretende di rappresentare il popolo, non ha bisogno di confrontarsi con nessuno. L’uomo forte vuole soltanto imporre la propria volontà, che spesso trascende dall’interesse generale, perché punta esclusivamente alla perpetrazione del potere nelle medesime mani.

Non credo che l’Italia abbia bisogno di questo genere di “cura”; men che meno credo che ne abbia bisogno la Sicilia, che invece ha pressante bisogno di convergenze, di collaborazione, di partecipazione, di visione perché, come direbbe in questi casi monsieur Jacques de La Palice: quattro occhi sono meglio di due, soprattutto se dietro quegli occhi c’è pure un cervello volto all’analisi all’efficienza ed al buonsenso.