Più volte mi è capitato di affrontare il tema legato alla presenza, nella società nella quale viviamo, di due categorie umane, che abbiamo rispettivamente definito: gestori e risolutori di problemi. 

Ogni volta che è capitato di discuterne e, dato l’argomento, ritengo giusto farlo spesso, non ho mai sottaciuto la pericolosità dei primi e l’isolato, spesso nascosto o sottovalutato, valore degli altri. 

Questa volta, invece, mi soffermerò ad affrontare la minaccia scaturente dalla presenza di una specie altrettanto rischiosa e, in atto, piuttosto diffusa: l’ipocrita categoria dei professionisti dell’indignazione.

In particolare, mi riferisco agli assertori dell’ovvio e del senso comune. Quelli altrimenti noti come protagonisti del “no preconcetto” contro ogni soluzione, che non sia la propria: posto che ne abbiamo una e che dispongano del coraggio per manifestarla, dato che spesso non ce l’hanno affatto!

Si tratta, come dicevo, di una specie assai numerosa, quanto infame, pronta a storcere il naso su tutto e sul suo contrario, senza compiere alcuno sforzo, per individuare credibili e praticabili soluzioni alternative!

I professionisti dell’indignazione costituiscono una categoria interdisciplinare; c’è chi si scopre commissario tecnico della nazionale di calcio e si indigna se non gioca il suo beniamino; c’è chi si improvvisa Presidente del consiglio e si indigna per questo o quel provvedimento; c’è chi s’indigna per la reintroduzione, a scuola, del voto di condotta, chi per le leggi che valgono per tutti ma non per qualcuno, ecc.

La loro indignazione non la negano a nessuno: anzi! In questo sono veramente egualitari e trasversali, esattamente come lo sono gli appartenenti alla categoria dei “ma anche”, di cui parleremo in un’altra occasione!

Ecco, il problema, infatti, non è l’indignazione tout court, bensì l’indignazione fine a se stessa: quella che non suggerisce alcuna alternativa; quella che non partecipa al sacrificio per la ricerca di una soluzione, ma che gode del successo di questa, che tuttavia, sempre secondo gli indignati, “poteva essere migliore”!

Di fronte a tale atteggiamento, pur correndo il rischio di predicare bene e di razzolare male, sono io, questa volta, ad indignarmi e dovremmo farlo in tanti: almeno nei confronti di costoro!

Per non cadere nella trappola ed apparire come uno degli indignati passivi, sterili e polemici, dico subito di non essermi mai indignato senza aver, contemporaneamente, aggiunto all’indignazione un’ipotesi di soluzione, a mio avviso, praticabile.

In tal senso, rivendico la necessità che il presupposto per l’indignazione non sia solo la presenza di un problema, né la ricerca della perfezione nel suo esito finale, bensì il tentativo di individuare un risultato, che sia possibile in un determinato momento e nelle specifiche condizioni in cui ci si trova. 

I risolutori, come ho più volte sostenuto, una volta che hanno affrontato e definito con successo una determinata questione, vanno avanti e ne affrontano altre, con serenità e coraggio. I professionisti dell’indignazione no: loro vivono del problema!

Costoro, infatti, dopo essersi sottratti al compito della ricerca, dopo aver preso atto che la perfezione non è di questa terra, si limitano ad indignarsi, a criticare o, al massimo, a dire che si sarebbe potuto fare altro, senza precisare cosa!

Questo genere di personaggi, purtroppo in vertiginoso aumento, soprattutto tra i politici di nuova generazione, sembra che non vogliano nulla di speciale, ma in realtà non è così: essi vogliono tutto! 

“La loro posizione,” sostiene il sociologo Francesco Alberoni, “nasconde un’infinita volontà di potenza. È questa,” egli aggiunge, “la radice psicologica del totalitarismo. Quando vanno al potere, infatti, essi agiscono in modo totalitario.”

Insomma, poiché sono convinto che state già pensando a qualcuno, ritengo sia giusto concludere sostenendo che: non solo è necessario diffidare dei gestori dei problemi, è pure urgente frenare i professionisti dell’indignazione, ovvero del “no preconcetto”, del “ma anche”, dell’invidia, dell’odio sociale e della mediocrità elevata a sistema!

Un’ultima considerazione, giusto per evitare che, nonostante ciò che attesta la mia storia personale, il ragionamento appena sviluppato possa apparire ai limiti dell’eversione.   

Sono un convinto liberale e democratico, credo che i principi contenuti nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo debbano essere sempre al centro della nostra organizzazione civile e sociale ma, nonostante tutto: ritengo che l’urgenza di un intervento chirurgico non si decida chiedendo al web di votare su scelte contrapposte!