Recentemente, alcuni giovani, che coraggiosamente si ostinano ad invitarmi agli incontri periodici organizzati dalla loro associazione culturale, mi hanno chiesto quale fosse, a mio avviso, il comportamento più adeguato da tenere in una fase di transizione (confusione) politica, come quello che stiamo attraversando.

La domanda è molto profonda ed altrettanto pertinente, soprattutto alla luce del comprensibile disagio di chi, per anni, è stato indotto a credere che la società, nelle sue varie articolazioni, si divida nitidamente in buoni e cattivi e che pertanto si debba (possa) stare da una parte o dall’altra.

In realtà, se la premessa è smentita, risulta assai difficile raccapezzarsi, soprattutto se “buoni e cattivi” si confondono tra loro, oltre che con quanti, non essendo né troppo buoni, né troppo cattivi, navigano in un indefinibile limbo.

Sì, comprendo il disagio e mi compenetro non solo nei giovani che mi hanno rivolto la domanda, che già solo per questo meritano grande apprezzamento, ma anche in quanti altri se la pongono nel chiuso delle loro coscienze, senza trovare neanche un modesto interlocutore, come posso essere io.

Credo che qualunque risposta si voglia o si debba dare, a questo tipo di domanda, non possa che nascere dall’esperienza e dall’esempio, anche per non suscitare la sensazione di volersi nascondere dietro enunciazioni astratte, che valgono per gli altri ma non per sé!

Per questa ragione, ho risposto nel modo seguente, precisando che quello indicato era stato e continuava ad essere il mio personale comportamento in situazioni analoghe a quella nella quale, purtroppo, ci troviamo oggi.

“Nei momenti di transizione”, ho detto, “ciascuno deve recuperare i principi forti ai quali si è sempre ispirato nella propria vita, limitandosi ad adattarli alle mutate condizioni, ma senza mai tradirli.” 

“In questo modo”, ho precisato, “sarà sempre garantita la piena identificabilità della propria personalità e del proprio pensiero.”

“Successivamente”, ho aggiunto, “è bene non limitarsi a stare nella mischia, ma riuscire pure a guardarla dal di fuori, come direbbe il filosofo John Rawls, “da una posizione terza, dietro un velo d’ignoranza”, rispetto alla nostra specifica condizione.” 

“Compiendo questo indispensabile sforzo di astrazione”, ho sottolineato, “sarà possibile conoscere le dinamiche interne, ma percepire anche quelle esterne.” 

“La regola”, ho aggiunto, “a mio avviso, ha una eccezione. Nel caso in cui la mischia fosse troppo vasta, come nel momento storico che stiamo attraversando, credo sia opportuno valutare anche l’ipotesi di stare fermi.”

“Attenzione, però”, ho precisato, “perché una tale posizione tattica non ha nulla a che vedere con l’ apparente immobilismo. Essa, infatti, permette sia di continuare ad essere riconoscibili, sia di essere rintracciabili e quindi continuare a costituire una certezza per chi è nella mischia, ma anche per chi ne è fuori!”

“C’è un’altra cosa, che considero assai utile nelle fasi di transizione”, ho proseguito, “la ridurrò ad esempio: se tutti giocano al calcio, con la conseguenza che i campi sono perennemente impegnati, è meglio dedicarsi a un altro sport.”

“Voglio dire,” ho continuato, “che quando tutti sono in transizione e occupano i mezzi necessari a compiere il percorso previsto, è bene scegliere un’altra via, un altro itinerario e un altro mezzo, possibilmente meno affollato!”

Avendo colto stupore nel volto dei miei giovani amici, ho aggiunto subito un altro esempio: “quando tutti si preoccupano di sporcare la politica o si illudono di ripulirla, avvalendosi di comportamenti ipocriti o lanciando proclami provocatori, è meglio occuparsi di detenuti, di disabili, di beni culturali, di diritti umani, di diritti civili, di casa, di lavoro, perché anche questa è politica.”

“Molti non lo sanno,” ho spiegato, “altri fingono di non saperlo ma, credetemi: il rispetto dei principi di civile convivenza, il buon funzionamento dell’apparato dello Stato, la certezza del diritto, la solidarietà, la salute, la lealtà intellettuale e comportamentale, costituiscono i pilastri della politica.”

“Al contrario,” ho concluso, “la gestione clientelare del diritto, la sua trasformazione in favore, la democrazia acquisitiva e i suoi apparati, rappresentano esattamente l’inverso del bene comune e dell’interesse della “Polis”, cioè l’inverso della politica!”

Dopo queste sintetiche precisazioni il volto dei miei giovani interlocutori si è immediatamente rasserenato, aprendosi in un fiducioso sorriso.