MONTECITORIO CAMERA DEI DEPUTATI PARLAMENTO ITALIANO

Sempre di più, soprattutto in vista di scadenze elettorali, si parla del “vincolo, o della libertà, di mandato” e degli effetti che esso produce in momenti di crisi valoriale come quelli che stiamo attraversando. Proviamo a leggerne bene il suo contenuto ed a contestualizzarlo.
“Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.”
Questo è il testo “incriminato” dell’articolo 67 della Costituzione italiana che, a causa del comportamento di un manipolo di spregiudicati approfittatori, rischia di trasformare una garanzia di libertà, come quella contenuta nella citata disposizione costituzionale, in una spregevole autorizzazione a seguire l’interesse proprio, piuttosto che quello della Nazione.
Grazie all’articolo 67 della Costituzione, infatti, 133 senatori e 188 deputati, della legislatura che volge alla sua disonorevole conclusione, hanno cambiato gruppo almeno una volta e non per sperimentare alchimie politiche condivise, spesso persino progettate, dai partiti di origine, bensì per ottenere opportunità e/o privilegi personali.
In molti casi, infatti, i parlamentari “salterini” sono passati da una coalizione all’altra, tradendo così non solo il “mandato ricevuto”, ma pure il proprio pensiero: quello che hanno messo a disposizione dell’elettorato, nel momento in cui hanno chiesto il voto.
Eppure, l’origine della “libertà di mandato” è nobile e antica, risale al 1774, quando fu espressa nel “Discorso agli elettori di Bristol” da Edmund Burke, il “Cicerone” britannico, membro liberale della Camera dei Comuni, che diede un notevole contributo alla cultura politica del suo tempo e che forse sarebbe interessante rileggere anche ai giorni nostri.
È di Burke, ad esempio, l’affermazione secondo la quale: “l’età della cavalleria è finita. Quella dei sofisti, degli economisti e dei contabili è giunta; e la gloria dell’Europa giace estinta per sempre.” Sembra scritta questa mattina!
Per non parlare delle condizioni in cui versa l’Italia di cui, citando Leopardi: “vedo le mura e gli archi e le colonne e i simulacri e l’erme torri degli avi nostri, ma la gloria non vedo.” Attuale come non mai!
Secondo il filosofo inglese, il principio di libertà di mandato dovrebbe rispecchiare il concetto di “Parlamento, inteso come assemblea deliberante di una nazione con un solo interesse, quello generale”, dunque, né quelli locali, né quelli di singole parti, né, ovviamente, quelli personali: purtroppo, oggi, non è sempre così!
Ciò che intendo dire è che il principio contenuto nell’articolo 67 della Costituzione è nobile: costituisce una tutela democratica sia della libertà di un popolo, sia di chi la esercita attraverso una funzione di rappresentanza; mentre è ignobile il comportamento di chi ne abusa, non certo per finalità generali e astratte.
Tuttavia, se è certamente commendevole l’atteggiamento di chi, non su singole votazioni in dissenso, ma ripetutamente, ha cambiato gruppo parlamentare, lo è di più se il trasferimento è avvenuto tra schieramenti del tutto opposti.
In tal senso, però, non è meno grave quello dei partiti che pretendono la cieca fedeltà dei propri parlamentari, né quello degli elettori, che “non vogliono essere traditi” ma che non vogliono assumersi la responsabilità di essere stati “troppo distratti” nella scelta che hanno compiuto votando.
Un tempo la selezione politica avveniva dal basso, seguiva precise “promozioni in carriera”, frutto di “gradi ottenuti sul campo”, sotto gli occhi di tutti! Oggi, gran parte delle scelte dei candidati vengono calate dall’alto, si fanno nei salotti e talvolta nelle alcove, al riparo da occhi e orecchie indiscrete.
Dunque, di cosa ci si lamenta? Cambiare una legge elettorale per ogni elezione vuol dire favorire proprio quel trasformismo che, a parole, si vorrebbe combattere, ma di cui, alternativamente, ci si serve, anzi, lo si utilizza e lo si auspica: “nell’interesse generale dello Stato” oppure “per garantire responsabilmente la governabilità del Paese!”
Per un motivo o per un altro, insomma, si torna a un vecchio, ma attualissimo, tema del quale ci è capitato di parlare altre volte: quello della responsabilità, che non può essere giammai disgiunto da quello della libertà.
Entrambi i concetti, poi, non possono essere chiamati in causa solo quando ci fa comodo, ma sempre: sia quando siamo noi a decidere, sia quando, a parti invertite, siamo destinatari delle decisioni che vengono assunte da altri.
Personalmente sono favorevole al principio contenuto nell’articolo 67 della Costituzione, soprattutto in campi che attengono a questioni che comportano “valutazioni di coscienza”, come potrebbero essere l’aborto, l’eutanasia, le pene, ecc.
Tuttavia, credo che, utilizzando gli strumenti regolamentari previsti, come in parte ha recentemente fatto il Senato, sia possibile non tanto introdurre il vincolo di mandato, che rischierebbe di trasformare i salotti e le alcove di partito in dittature assolute, bensì ridurre le possibilità che di esso se ne faccia un uso improprio e snaturato.
In ogni caso cercherei di fare in fretta: ripartirei dall’organizzazione della politica, dalla verifica della democrazia interna alle varie compagini e dall’ineludibile partecipazione civile, che non può essere né volontaristica, né inutile!