di  Vito Pirrone

I partiti  sono impegnati nella redazione dei  programmi  in vista delle imminenti elezioni; ritengo che nell’ottica di migliorare il nostro Paese si dovrebbe  prevedere  un  sostanziale mutamento della cultura penitenziaria, che consideri  la centralità dell’ uomo  e non un sistema  meramente ancorato al reato  commesso.  Infatti,  il fatto ed il reato attengono  alla valutazione  nel momento giudiziario.

Vogliamo illuderci che dall’elaborazione dei programmi derivino politiche sagge, che riportino il carcere a quella condizione di extrema ratio che consenta il rispetto dell’articolo 27 della Costituzione,  il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità e l’impegno al reinserimento sociale dei condannati.    Attualmente, invero, la situazione delle nostre  carceri  è oltremodo drammatica, con un indice significativo di sovraffollamento  che  non  consente alcun percorso rieducativo . 

Da gennaio di quest’anno ben  47 detenuti  si sono tolti la vita, di  cui  4 donne. L’anno scorso, in questo periodo  i  casi di  suicidi in carcere sono stati 32.

Il notevole aumento delle temperature nel periodo  estivo ha  un considerevole rilievo  e  porta  un picco verso l’alto  dei suicidi. 

Troppi  suicidi, il sovraffollamento persiste, con una sistemica grave assenza,  nei  penitenziari,  di un fattivo supporto psicologico.

La carenza  di una assistenza psicologica individualizzata  alla popolazione detenuta è significativa  di una mancata risposta  ai problemi penitenziari.

I numeri sono gravi e caratterizzano il   carcere  come luogo  psicopatogeno,   dove i disturbi psichici coinvolgono  oltre  la metà della popolazione detenuta.

Il carcere, anzichè aiutare in un percorso  rigenerazionale di vita, diventa una spirale che assorbe  le persone fragili, vulnerabili, che non hanno la forza di affrontare il peso della reclusione.

Occorerebbe attenzionare  cosa è stato fatto e cosa si sarebbe potuto fare,  rivedendo i protocolli.

 Il problema è di civiltà del nostro Paese, e  sta in sè  nelle nostre strutture penitenziarie che da luoghi  di rieducazione per il reinserimento, diventano  luoghi del disagio e della sofferenza psichica.

Antigone, nel suo recente rapporto, ha denunciato che, mediamente ,ogni cinque giorni  un detenuto si toglie la vita.

 Questi numeri sono un evidente indicatore di malessere di un sistema che necessita di seri cambiamenti.

L’Italia è tra i paesi con il più alto indice di suicidi in carcere.

Significativa la circostanza, che andrebbe valutata, che tra i soggetti che si sono tolti la vita, diversi si trovavano in carcere solo da breve tempo ed altri erano in procinto di ottenere una misura alternativa.

Il diritto penale  è fatto di scelte politiche.

Un diritto punitivo  sovradimensionato  è il frutto  della debolezza della politica.

Non si comprende  che  è da evitare  una giustizia  in chiave elettorale  e populista, usata  con il bilanciamento del facile consenso.